Proclamare l’opera di Dio in Cristo

Un giorno una parola – commento a Filippesi 2, 15-16  

Seguirete il Signore, il vostro Dio, lo temerete, osserverete i suoi comandamenti, ubbidirete alla sua voce, lo servirete e vi terrete stretti a lui

Deuteronomio 13, 4

Risplendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita, in modo che nel giorno di Cristo io possa vantarmi di non aver corso invano, né invano faticato

Filippesi 2, 15-16  

Questo passaggio è estratto dalla lettera dell’apostolo Paolo alla giovane chiesa di Filippi. Di quel mondo oggi, non restano altro che rovine. Ma quella sua lettera non era destinata a rimanere lettera morta bensì a fare, più volte, il giro del mondo e il seme che conteneva, nei secoli, germogliò e germoglia in ogni dove. Paolo, da quel che sappiamo, fondò comunità cristiane in grandi centri urbani, proseguendo la sua attività senza mai fermarsi più di due anni nello stesso posto. Con le sue lettere, personali ma non private, tentò di colmare le sue assenze pastorali invitando i credenti e collaboratori a crescere localmente nelle proprie responsabilità.

Cambiano le situazioni, le condizioni e i tempi ma l’annuncio dell’evangelo rimane come costante interlocuzione in precise circostanze.  Quella alla quale Paolo indirizza il suo scritto, anche per la composizione eterogenea della giovane chiesa macedone, tocca temi delicati: frizioni, personalismi, polemiche pretestuose, eccessi di protagonismo, rivalità, divisioni… Paolo non abborda il tema giudicando o colpevolizzando gli ascoltatori, raccomanda piuttosto di «autoevangelizzarsi», di impegnarsi con timore e tremore per la salvezza non solo propria ma degli altri (v. 12). Che si veda insomma – dice Paolo – come Dio stia lavorando in noi e tra noi. Che si veda, in quanto credenti, come ci comportiamo dentro la società. L’augurio è che le nostre scelte, con l’aiuto del Signore, possano brillare. Che le nostre riflessioni possano rimbalzare tra la gente come occasioni di arricchimento gioioso. Per tutti. L’isolamento o il rinchiuderci tra le nostre mura non serve, così come non serve vantare una pretesa superiorità. Le crisi succedono ma anziché distruggere relazioni, per quanto possibile, diventino, almeno nella chiesa, occasioni di confronto e di crescita. La causa nella quale crediamo – dice Paolo – è così preziosa che non possiamo svilirla o ridurla a fattore disgregativo. Questa causa è il nostro punto di forza. Come cristiani non ne abbiamo un altro di riserva. Proclamare l’opera di Dio in Cristo con tutto noi stessi illumina le nostre vite e speriamo anche quelle degli altri. Pur sapendo che è Dio che accende la luce, noi possiamo esserne un riflesso. Questo è ciò che ci auguriamo. Amen.