
Scherzi della memoria. Obiettore per fede
La rubrica di Riforma. Storia e fede in un appuntamento mensile
Il 24 giugno 1906 nasce a Sainte-Colombe Jacques Martin. Studiò alla Facoltà di Teologia protestante di Parigi dal 1923 al 1927. Impegnato nel Movimento internazionale per la Riconciliazione, non fu ammesso al pastorato a causa delle sue idee pacifiste e antimilitariste, che lo portarono più volte a rifiutare il richiamo alle armi. Condannato a un anno di prigione una prima volta nel 1932, fu graziato, ma negli anni successivi venne arrestato e processato altre quattro volte. Suoi compagni di obiezione di coscienza furono lo studente di teologia Philippe Vernier e l’insegnante Camille Rombault, entrambi protestanti. Protestante era anche André Philip, l’avvocato che lo difese in tutti i suoi processi, che ebbero una grande eco nel paese.
Nel 1938, congedato per motivi di salute, si stabilì a Ganges, nella regione delle Cevenne, dove lavorò come capo del personale in una fabbrica di calze. Qui si impegnò nella resistenza contro il governo collaborazionista di Pétain. Insieme con la moglie Jacqueline Élie, nascose e aiutò a fuggire ebrei e profughi. Promosse anche incontri pastorali di riflessione contro l’antisemitismo. Già nel 1939 scriveva «Non porta il cristianesimo stesso, almeno quanto gli ebrei, la responsabilità della crocifissione del suo Maestro? Ciò che chiamiamo civiltà cristiana non è forse la testimonianza di un rifiuto e di una bestemmia più profondi e gravi delle grida di una folla volubile e dei calcoli di un Sinedrio?».
Fu arrestato nel 1944 dalla polizia del regime, ma i partigiani riuscirono a ottenere il suo rilascio, scambiandolo con un gregge di pecore. Nel dopoguerra si impegnò nell’associazionismo protestante e fu uno dei pionieri del dialogo cristiano-ebraico. Solo nel 1966 Martin ottenne la consacrazione pastorale dalla Chiesa riformata di Francia. Rimase attivo anche dopo il pensionamento e morì nel 2001 all’età di 95 anni.