
Per un “ecumenismo integrale”
100 anni fa gli albori del percorso verso l’unità dei cristiani
Qualche settimana fa il Consiglio ecumenico delle chiese ha celebrato con un convegno internazionale ad Atene (Grecia) un anniversario importante: il centenario della prima conferenza mondiale di «Vita e azione» (in inglese: Life and Work), che si tenne nell’agosto del 1925 a Stoccolma, su invito dell’arcivescovo luterano svedese Nathan Söderblom. All’incontro parteciparono più di 600 delegati da 37 paesi: protestanti, anglicani e, per la prima volta, ortodossi. Già alla vigilia della Prima Guerra mondiale molti cristiani avevano sostenuto la necessità di creare un movimento di chiese a livello mondiale per operare per la pace e la giustizia.
Dopo il conflitto questo obiettivo divenne ancora più urgente, e un primo incontro preparatorio ebbe luogo a Ginevra nel 1920. L’idea era quella di mettere da parte le differenze dottrinali per concentrarsi sulla testimonianza comune delle chiese in campo sociale, nella convinzione che «la dottrina divide, mentre il servizio unisce». La conferenza si concentrò quindi sulle responsabilità della Chiesa nei confronti dei problemi economici, industriali, sociali e morali, delle relazioni internazionali e della pace. Lo scopo era quello di «formulare programmi ed escogitare mezzi… grazie ai quali, attraverso la Chiesa di Cristo, si potesse realizzare più pienamente la paternità di Dio e la fraternità di tutti i popoli».
Anche se i risultati pratici della conferenza furono ritenuti alquanto vaghi, il movimento di Vita e Azione continuò a crescere, e una seconda conferenza mondiale ebbe luogo a Oxford nel 1937. Superando in parte la propensione iniziale a evitare le questioni dottrinali, il movimento iniziò a collaborare intensamente con gli altri gruppi cristiani che operavano per l’unità, come «Fede e Costituzione» (che invece si concentrava proprio sul superamento delle controversie teologiche tra le diverse chiese) e il movimento missionario. E Vita e Azione svolse un ruolo fondamentale nella creazione – che a causa della Seconda Guerra mondiale fu formalizzata solo nel 1948 – di un organismo ecumenico mondiale, il Consiglio ecumenico delle chiese.
Per il teologo battista americano Paul Abrecht, che per oltre trent’anni fu uno dei dirigenti del Consiglio ecumenico, il ruolo di Vita e Azione è stato fondamentale: esso «ha condotto il movimento ecumenico ben al di là dei confini che gli erano stati assegnati da Fede e Costituzione o dal Consiglio missionario internazionale. Dobbiamo soprattutto a Vita e Azione e al suo lavoro pionieristico se oggi il movimento ecumenico si interessa così attivamente a temi quali le relazioni internazionali, il razzismo, la giustizia e l’ordine in materia economica, la democrazia, i diritti umani, la libertà religiosa, ecc…» (voce «Vita e Azione», Dizionario del movimento ecumenico, Bologna 1994, p. 1171).
Dunque, la dottrina divide mentre il servizio unisce? Ma è ancora valido questo slogan iniziale di Vita e Azione? In realtà, la storia dell’ecumenismo degli ultimi decenni ha dimostrato che la vitalità del movimento ecumenico dipende proprio dalla capacità di tenere insieme, in una tensione creativa, questi due poli: quello di Fede e Costituzione, cioè del dialogo teologico e della ricerca dell’unità visibile, e quello di Vita e Azione, cioè l’impegno comune per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. Non uno senza l’altro, o addirittura contro l’altro. Quello di cui abbiamo bisogno è un “ecumenismo integrale”, fatto al tempo stesso di passione per l’unità delle chiese e per il comune servizio nel mondo.
La rubrica «Il cammino verso l’unità» a cura di Luca Maria Negro è andata in onda domenica 8 giugno durante il «Culto evangelico», trasmissione (e rubrica del Giornale Radio) di Rai Radio1 a cura della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Per il podcast e il riascolto online ci si può collegare al sito www.raiplayradio.it