Testimoni di un nuovo cielo e di una nuova terra

La XX Conferenza della Chiesa dei Credenti ad Amsterdam

 

Dal 1° giugno al 4 giugno, in una località non distante da Amsterdam, si è svolta la ventesima Conferenza della Chiesa dei Credenti (Believers Church Conference – Bcc). Il titolo era: Un rinnovamento radicale? E il sottotitolo richiamava il famoso passo dell’Apocalisse (21, 1): «Testimoni di un nuovo cielo e di una nuova terra». I partecipanti, circa duecento, venivano da ogni angolo del mondo.

 

È necessaria una breve premessa: la Bcc si è riunita per la prima volta nel 1967 e da allora vi sono state ben venti conferenze. Finora si erano tenute sempre negli Stati Uniti, quest’anno, anche a motivo della ricorrenza dei 500 anni dell’Anabattismo, si è scelta la città di Amsterdam. E non è un caso che l’inizio della Conferenza sia avvenuta nella Chiesa mennonita (Singelkerk), fondata nel 1607, lungo il canale Singel. Ma che cos’è la Bcc? È un movimento che propone un altro modello ecclesiologico, un terzo tipo di chiesa, accanto ai modelli “cattolico” e “protestante”. Questo modello diverso è stato, nel tempo, anche definito con altre formule, a esempio: Chiesa libera o “battista con la b minuscola”, come suggerito dal teologo James McClendon. Ma credo che l’aspetto centrale di questo “movimento” sia la convinzione che la Chiesa consiste ed è costituita da credenti consapevoli e impegnati che rispondono alla chiamata di Dio.

 

Tre sono stati i principi che hanno guidato questa ventesima conferenza: la sua ecumenicità – partendo da una chiara e solida identità si è mirato all’incontro e all’arricchimento ecumenico; la sua internazionalità – hanno partecipato persone da tutti i continenti; la multiculturalità – la partecipazione ha privilegiato la diversità generazionale, etnica e di genere, dando priorità a voci di giovani provenienti da contesti e posizioni più disagiati.

Tutto si è giocato intorno a quel punto interrogativo presente nel titolo della conferenza. Un punto interrogativo che sottintendeva una domanda: in un tempo critico di ingiustizie sistemiche, quanto “radicali” sono i figli e le figlie della “Riforma radicale” – dopo 500 anni – nell’impegno per quel rinnovamento promesso per tutti e tutte in Apocalisse 21?

 

Tante relatrici e tanti relatori, soprattutto dal Sud del mondo. Vorrei iniziare presentando la prima relatrice, Sarah Augustine, mennonita; benché non venga dal Sud del mondo, vive infatti a White Swan, Washington, tuttavia è una pueblo tewa. I Pueblo Tewa sono un gruppo di nativi americani appartenenti ai Pueblo, abitanti del sud-ovest degli Stati Uniti. Augustine è la direttrice esecutiva e co-fondatrice della Coalizione per Smantellare la Dottrina della Scoperta e ha dedicato un libro a questo tema: «La Terra non è vuota: seguire Gesù nello smantellamento della Dottrina della Scoperta». Nel suo intervento ha voluto soffermarsi sulla necessità di ritrovare una radicalità che vorrei definire “primordiale”: noi siamo radicalmente interconnessi e quel “noi” non riguarda soltanto “noi umani”.

 

La seconda relatrice è stata Betty Ruth Lozano-Lerma. Dottoressa in Studi culturali latinoamericani, sociologa, di tradizione battista, per molti anni docente e direttrice presso la Fondazione universitaria battista con sede a Cali, Colombia. Donna “negra” impegnata sia in un lavoro intellettuale critico sia nelle lotte sociali in Colombia, in particolare quelle legate alla violenza contro le donne e alla lotta al razzismo. Ha scritto, in collaborazione con altre, un libro dal titolo: Femminicidio e accumulazione globale. Nel suo intervento si è soffermata su quel mortale intreccio tra fondamentalismo e capitalismo che sta stravolgendo un’antica regione come quella del Pacifico (una delle cinque regioni principali della Columbia).

 

È evidente che, per ragioni di spazio, non potrò presentare ogni singola relatrice e ogni singolo relatore. Ho dovuto fare una scelta. L’ultimo che vi presento è Willie James Jennings, battista, professore di Teologia e Studi africani presso la Yale University Divinity School. Jennings lavora soprattutto sulla teoria della razza e sugli studi decoloniali e ambientali. È autore di After Whiteness: An Education in Belonging che tradurrei in questo modo: «Dopo la bianchezza: un’educazione all’appartenenza». Ed è di “bianchezza” che ci ha parlato, condizione non biologica, ma che appartiene all’immaginario occidentale e che riguarda una “mascolinità bianca autosufficiente”. Il suo discorso sulla disciplina della speranza all’auditorium alla Vrije Universiteit di Amsterdam ha concluso una conferenza davvero intensa.