Pace, guerra e riconciliazione ai confini con l’Ucraina

Un incontro promosso dalla Chiesa evangelica della Vestfalia a Kreisau, nella polacca Bassa Slesia

 

Il luogo – la storica tenuta dei von Moltke – è fortemente simbolico perché lì, tra il 1942 e il 1944, si riunirono i membri del “Circolo di Kreisau”, cospiratori antinazisti che, dopo il fallito attentato a Hitler del 20 luglio 1944, pagarono con la vita il loro impegno. Oggi, dopo i mutamenti dei confini seguiti alla Seconda guerra mondiale, Krzyżowa/Kreisau appartiene alla Polonia, ma rimane un luogo significativo per l’antifascismo.

L’incontro, promosso dalla Chiesa evangelica della Vestfalia proprio a Kreisau dal 19 al 21 maggio sul tema “pace, guerra e riconciliazione”, ha richiamato persone di diverse chiese (italiane, polacche, ucraine e ungheresi) per riflettere sulla pace in un contesto segnato dai conflitti che ben conosciamo, in Ucraina e in Palestina.

 

La pace non è mai un fatto scontato, automatico, quasi “magico”, ma richiede sempre impegno: dialogo, capacità di ascoltare e comprendere le ragioni dell’altro, fatica di aprirsi. La pace è un dono, ma come ogni dono, può essere anche rifiutato. 

In un tempo in cui la retorica del riarmo sembra essere l’unica parola che si ascolta, la vecchia domanda “dobbiamo morire per Danzica?” può essere anche riformulata così: “dobbiamo uccidere per Danzica?”, cioè un invito a riconsiderare la nozione di “guerra giusta”, il ruolo dell’Europa, l’idea di sicurezza.

Molto significative sono state le testimonianze nel corso di una tavola rotonda organizzata il 21 maggio; il vescovo luterano ucraino di Kharkiv, Pavlo Shvarts, ha sottolineato come ogni giudizio sulla guerra nasca da esperienze personali, profonde e spesso dolorose. Secondo lui, oggi è ancora troppo presto per parlare di riconciliazione tra ucraini e russi: “ci vorrà tempo, forse generazioni”.

 

Júlia Berecz, della Chiesa riformata ungherese, ha richiamato l’attenzione sulle motivazioni religiose che alimentano il conflitto ucraino. In un’epoca di nazionalismi esasperati è necessario tornare al principio evangelico del soli Deo gloria, relativizzando l’identità nazionale per riconoscersi prima di tutto nel corpo di Cristo.

Il vescovo riformato della Transcarpazia (regione appartenente all’Ucraina dal punto di vista politico, ma abitata da una consistente minoranza ungherese), Sándor Zán, ha evidenziato il ruolo fondamentale delle chiese nel mantenere un tessuto sociale in una società devastata dalla guerra e ha insistito sulla centralità del dialogo e dei diritti umani come via per la pace. In una situazione che lascia comprensibilmente scoraggiati, ci ha amaramente ricordato che spesso la pace non è altro che una pausa tra due conflitti, così come la guerra continua nella vita dei mutilati, dei profughi, delle generazioni future.

 

Particolarmente stimolante l’intervento del pastore luterano di San Pietroburgo, Anton Tikhomirov, collegato via zoom. Trovandosi fisicamente “dall’altra parte della trincea”, con comprensibile prudenza ha parlato della preghiera come forza silenziosa per la pace e del ruolo della chiesa come “crocerossina della storia”: pronta a curare, ad accompagnare, a cercare la verità attraverso piccoli passi verso l’altro. Ha ammonito sul pericolo delle parole usate in modo superficiale, ricordando come a volte sia meglio tacere, per non ferire ulteriormente, senza però scordare di pregare anche per chi si trova dall’altro lato del conflitto. 

A rappresentare le chiese valdesi e metodiste italiane erano presenti i pastori Bruno Gabrielli e il sottoscritto.

 

 

Da www.chiesavaldese.org