La Buona novella. Il mondo dallo specchietto

La rubrica della redazione dedicata alle buone notizie 

 

Forse dovremmo iniziare a guardare il mondo dallo specchietto retrovisore. Partendo da ciò che c’è dietro per poter andare avanti Sì, perché il mondo fuori è un altro da quello che ci stanno facendo vedere i nostri social e le nostre televisioni. Un mondo vero, spesso ruvido, ma percorso anche da tante persone che non si arrendono all’ineluttabilità delle guerre, dei soprusi, del consumo a tutti i costi. Persone che non si arrendono alla logica delle guerre, delle armi.

 

La buona notizia, dunque, sono le comunità (di fede e non) in cammino; la buona notizia sono le persone (chi israeliano, chi palestinese) che abbiamo incontrato a Torino nella sala del Comune – grazie alla Fcei e a Confronti –: due persone che malgrado la brutalità umana, militare e terroristica (più di trenta famigliari uccisi ricordava il medico palestinese; mentre l’operatore israeliano ha perso la mamma, una nota attivista uccisa in kibbutz quel 7 ottobre con altri molti amici). Loro due sono riusciti comunicarci la loro azione di pace, quella di Parents Circle, a infondere con la loro presenza, reale e concreta di cooperazione tra le parti, un sogno difficile, avremmo detto noi prima di averli incontrati; un sogno che invece è già concreto, reale, presente.

 

La loro speranza, loro parole, sono state un dolore sì, ma lenitivo per le nostre coscienze, un insegnamento. Le nostre divisioni, le nostre polarizzazioni, sono state spazzate via dalla loro umanità.

 

Non viene meno la condanna per le brutalità, per la sproporzione della violenza, della sofferenza inflitta a Gaza; e, anche se, pervasi dall’imbarazzo di vivere nel privilegio e colpevoli di una ineluttabile passività, quel giorno grazie a loro abbiamo incontrato una buona notizia: quella veicolata dal palestinese e dall’israeliano. Ogni nostro piccolo gesto, ci è stato detto, ogni nostra azione, da quella più piccola a quella più grande, sono per loro segni concreti di speranza. Perché così, non si sentono soli.