Povertà sanitaria: soprattutto al Sud

Al calo delle prestazioni fa riscontro la necessità di rinunciare a cure importanti

 

È noto, in letteratura, lo stretto rapporto tra condizioni socioeconomiche e sviluppo delle malattie. Ovvero tra povertà e povertà sanitaria. In Italia la presenza di fasce di povertà è sempre più significativa. Nel 2024 secondo l’Istat la percentuale delle persone a rischio di povertà o di esclusione sociale è stata del 23,1%, con il primato negativo della Calabria (48,8%), seguita dalla Campania (43,5%) e dalla Sicilia (40,9%). In pratica sono a rischio povertà ed esclusione sociale quasi un calabrese, un campano o un siciliano su due. Con la crisi della sanità pubblica che mette in difficoltà soprattutto i più indigenti, che diventano anche poveri sanitari perché spesso non riescono a curarsi. Oppure diventano poveri proprio per pagarsi le cure.

 

Nel 2023 – ricorda la Fondazione Gimbe – i cittadini hanno pagato il 26% delle prestazioni sanitarie, di tasca propria o tramite assicurazione, per circa 45,8 Mld di euro, con un aumento della spesa privata del 10,3% rispetto all’anno precedente. Mentre la limitazione delle spese per la salute ha riguardato nel 2022, secondo l’Istat, oltre 4,2 milioni di famiglie. Nel 2023 il 5,1% delle famiglie ha dichiarato inoltre di non disporre di soldi in alcuni periodi dell’anno per far fronte a spese relative alle malattie. Con il Mezzogiorno al di sopra della media nazionale: rispettivamente le Isole all’8% e il Sud all’8,7%.

Ma soprattutto, la rinuncia alle cure, che nel 2023 ha riguardato il 7,6% della popolazione, è in aumento rispetto al 2022 (7%). Si tratta di oltre 4 milioni e 480.000 persone che non si sono curate, per difficoltà di accesso o per i lunghi tempi di attesa. Ma soprattutto per motivi economici, che ha riguardato quasi 2,5 milioni di persone, pari al 4,2% della popolazione, con un aumento di 1 punto percentuale rispetto al 2022 (3,2%): quasi 600.000 persone in più rispetto all’anno precedente.

 

Sanità più povera al Sud, come prestazioni e outcome. Nel nostro paese permane e si accentua il divario Nord/Sud nel diritto alla Salute, che fa dire alla Svimez di vivere in «un paese con due cure». Secondo l’indagine 2024 Istat sul Benessere Equo e Sostenibile degli italiani, il Mezzogiorno risulta essere l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute. Qualche dato più significativo. Speranza di vita: in Italia è di 83,1 anni, nel Mezzogiorno 82,1 anni; mortalità evitabile. in Italia è 19,2 decessi per 10.000 residenti, nel Mezzogiorno 21,8; mortalità infantile: in Italia 2,6 per 1000 nati vivi, nel Mezzogiorno 3,2; mortalità per tumore: in Italia 7,8 per 10.000 residenti, nel Mezzogiorno 8,7.

 

Del resto la stessa applicazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea) ha evidenziato notevoli disparità territoriali nei trattamenti sanitari. Come è grave la carenza di strutture, sanitarie residenziali e semiresidenziali per la gestione degli anziani non-autosufficienti o la scarsa adesione al Sud alla prevenzione oncologica, soprattutto per screening mammografici. La copertura è dell’83% al Nord, del 78% al Centro e solo del 61% nel Mezzogiorno. Ma su questi dati qui al Sud incidono, oltre le carenze sanitarie, anche fattori socioeconomici (come livello di istruzione e di reddito, stato civile e cittadinanza) collegati spesso alla povertà.

 

Non si può non parlare infine della mobilità sanitaria interregionale. La mobilità dal Sud verso il Centro-Nord si è ormai cronicizzata: nel 2022 la mobilità passiva ha interessato 629.000 pazienti, il 44% dei quali residente in una regione del Sud.

Al Sud, il saldo tra mobilità passiva e attiva ha generato un esborso negativo di circa 1,4 miliardi di euro, senza considerare – ricorda la Fondazione Gimbe «i costi sociali legati al numero di pazienti e familiari/caregiver coinvolti, nonché quelli economici legati agli spostamenti, alle assenze dal lavoro di familiari, ai permessi retribuiti, oltre ai costi intangibili legati alla mancata esigibilità di un diritto fondamentale sancito dalla Costituzione».

 

Sanità più povera al Sud, come finanziamenti attuali (e futuri). Nel riparto regionale delle risorse pubbliche il Sud è stato da sempre penalizzato, perché vengono soprattutto utilizzati i criteri dell’anzianità, mentre occorrerebbe includere in modo significativo anche i fattori socioeconomici e di povertà, che impattano, soprattutto al Sud, sui fabbisogni di cura e assistenza, in modo di avere una distribuzione del finanziamento nazionale tra le Regioni più coerente con le finalità di equità orizzontale della Sanità pubblica.

 

Le future dinamiche demografiche avverse, infine, penalizzeranno ulteriormente e in ogni caso il Mezzogiorno. Se non interverranno, infatti, modifiche nell’attuale metodo di riparto, il calo delle nascite e l’invecchiamento della popolazione, previsti per i prossimi decenni, avranno ricadute negative sull’allocazione regionale delle risorse al Sud: perché l’effetto del calo della popolazione sarà solo in minima parte controbilanciato dall’effetto età. Senza considerare che, se verrà applicata l’autonomia differenziata, le nostre popolazioni meridionali verranno travolte da una nuova emergenza sanitaria e sociale, strutturale e catastrofica.