
Nessuno è escluso dalla famiglia umana
La scrittrice Marilynne Robinson rilegge la Genesi in pagine affascinanti come i suoi romanzi
Ricevere un libro è sempre un dono, in particolare Leggere Genesi è un dono prezioso*. Intanto perché fin dal titolo Marylin Robinson – una rinomata scrittrice di romanzi ma anche saggista di formazione calvinista – prende per mano il lettore, la lettrice e in loro compagnia inizia un itinerario di commento e rilettura riflessiva del primo libro della Bibbia, raccontando come si può riscoprirla e perché è necessario farlo in questa epoca buia per le sorti del mondo e dell’umanità.
Inizia così: «La Bibbia è una teodicea, una meditazione sul problema del male». Non solo il libro di Giobbe ma tutta la Bibbia tiene conto delle cose per come sono nella realtà, gli aspetti più oscuri affinché essi possano essere riconciliati «con la bontà di Dio e dell’Essere stesso contro cui questa oscurità si staglia così netta». Non ci avevo mai pensato in questi termini: per accogliere il “bene sacro”, le pene e la fatica del limite – compresa la morte – sono considerate una “realtà secondaria”, affinché un tale costrutto della realtà sia aperta alla fedeltà di Dio. Per accogliere una tale postura in Genesi 2-3, che più volte nei secoli di interpretazione esegetica è stata invece travisata enfatizzando solo la fatica, occorre pensare che gli esseri umani davanti a Dio sono caratterizzati da vocazione, permesso e proibizione, aspetti che vanno tenuti insieme e in equilibrio. Tali testi sono stati scritti dopo riflessioni e affinamenti successivi, nel corso di un formarsi che ha prodotto una profonda coerenza e rimandi intertestuali con i passi precedenti e successivi che si elucidano a vicenda. E l’intertestualità è un antidoto a ogni letteralismo.
Così scrivendo, Marylinne Robinson suggerisce come leggere Genesi e tutta la Bibbia, facendo memoria dell’intensità delle generazioni precedenti per scoprire come «queste strane fiabe» siano una narrazione sul senso della presenza di Dio nelle nostre vite. Nell’accavallarsi delle interpretazioni esegetiche, che tanto dibattito continuano a suscitare, lontane però dal letteralismo di chi non è consapevole dell’autorità della Scrittura, un punto resta fermo: «questa letteratura può essere dipesa soltanto da una profonda fede nell’idea che la comunità che l’ha creata, studiata, riverita lo ha fatto al servizio di una chiamata straordinaria: imprimere in parole una qualche conoscenza di Dio». Cioè la Scrittura è stata attraversata da ripensamenti continui, in modo che la conoscenza di Dio non risulti cosa astratta e avulsa dal concreto delle vicende umane ma scaturisca sempre e di nuovo «da un rapporto con Lui, che è inaugurato da Lui».
Ciò che colpisce nel racconto di Marylinne Robinson è la profondità temporale quando sottolinea che la fedeltà di Dio è possibile grazie al Suo legame con gli antenati. Quando si presenta a Mosè è il «Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe», invocando così un passato remotissimo in cui si trasmette il senso della fedeltà di Dio al suo popolo. «Queste storie – afferma l’autrice – sono l’embrione di una letteratura e un’identità poderose». Se la fede accade, abbiamo bisogno di un linguaggio figurativo che è carico di senso per testimoniarla, a partire dall’affermazione di Dio che la creazione è buona. Questo è un tratto unico.
L’emersione dell’essere è il mondo che conosciamo e non conosciamo. Qui – suggerisce Robinson – è sempre meglio tenere separate scienza e religione, non è questo il punto. Il punto è la meraviglia del principio, non la relazione causale. Il riconoscimento del male viene dopo (da Genesi 2, 4 a 11, 32) ed è indispensabile all’intera narrazione della Scrittura. Non sappiamo il perché degli eventi che hanno la «loro origine nell’imperscrutabilissimo intento di Dio», anche nella creazione degli esseri umani, che sono tali per benevolo intento e non per utilità, con il proposito divino di ribaltare il senso della sofferenza. È una concezione di Dio e dell’umanità in relazione – «sia al di sopra che dentro il tempo» –, che non ha equivalenti in altre letterature e nei politeismi circostanti.
Gli antichi ebrei, pur tra mille difficoltà, e il popolo di Dio con loro, continuano a credere che Dio ama il mondo e che ripone la sua fiducia in noi. Questa è l’alleanza o promessa in un destino che si compirà «in un futuro che è altro da tutta la miseria e la gioia» che si frappongono nel corso del tempo, inclusi la ribellione, la colpa e, in una parola, la libertà umana. Nella facoltà di agire emerge la responsabilità, che è opera del discernimento e della scelta.
Da queste premesse si sviluppa il racconto dell’autrice che condivide riflessioni e scoperte nella rilettura di tanti episodi. A esempio, giustizia è una parola importantissima nella Scrittura e immaginarla nei luoghi martoriati dalla guerra e dalla violenza farebbe fiorire «qualcosa che merita d’essere chiamato vita». Ancor più prossima a Dio è la misericordia che sprigiona un’abbondanza eccedente. Il libro di M. Robinson è intenso e stimolante, un flusso continuo, che spesso illustra i punti della Bibbia ebraica con esempi del Nuovo Testamento. È incorniciato da due storie di perdono straordinarie, quello di Caino da parte del Signore e quella dei dieci fratelli da parte di Giuseppe. C’è dunque qualcosa che resiste ai cambiamenti culturali, cioè che «qualsiasi cosa Dio fa, dura per sempre». Che è come dire che siamo stati creati per essere amici con il Dio vivente e membri della famiglia umana. Nessuno escluso.
Scheda di approfondimento
Personaggi ricorrenti e retroterra biblico
Una grande consapevolezza della propria identità di credente è il retaggio culturale, e al tempo stesso interiore, che permea gli scritti letterari, ma anche biblici, teologici, politici, di Marilynne Robinson (n. 1943), una delle più autorevoli scrittrici nordamericane viventi.
A lungo docente nello Iowa Writers Workshop, ha ambientato in una cittadina immaginaria dello Idaho, Gilead (la biblica Galaad), le vicende dei suoi romanzi: Gilead (2008), Casa (2011), Lila (2014) e Jack (2020), tutti pubblicati da Einaudi, come anche il primo Le cure domestiche, che ruotano intorno agli stessi personaggi e alla stessa vicenda fondamentale, una rilettura della parabola del padre misericordioso, una meditazione sugli affetti e sulla profondità della fede vissuta. Una scrittura, la sua, dal respiro calmo e fluente, un ritmo riflessivo a tratti lirico ed elegiaco (soprattutto nel rapporto tra il padre, pastore evangelico, e il figlio scapestrato, Jack, appunto), un dialogo intimo con il lettore, a cui ci si abitua volentieri.
Come scrivevamo in occasione dell’uscita di Jack, «L’alto e il basso, la fede e la dissolutezza fanno parte di noi. Poi le persone prendono la loro strada: qualcuno la chiama destino, altri ci vedono l’impronta di qualcuno che gli tiene una mano sulla testa. Tutti insieme, in un microcosmo fatto di pochi personaggi e di una grande capacità lirica, ci mostrano la nostra debolezza e la speranza che una visione di fede faccia breccia e si rinnovi nelle nostre esistenze. Il romanzo non ci spiega che cosa sia la grazia, ma ci dice che essa può cambiare la vita delle persone».
Marilynne Robinson è tuttavia anche autrice di due raccolte di saggi e articoli (entrambe pubblicate successivamente da Minimum Fax: Quando ero piccola leggevo libri (2018), e Quel che ci è dato (2021), in cui, parlando anche del Risveglio e menzionando anche i Valdesi, affronta la consapevolezza delle radici della società americana e interloquisce con un’epoca in cui la secolarizzazione e la critica che viene dalle scienze mettono a dura prova l’eredità calvinista passata attraverso il puritanesimo e i Padri fondatori.
Qui di seguito il video dell’incontro “Marilynne Robinson e la Bibbia” organizzato dal Palazzo Ducale di Genova con il Centro culturale valdese del capoluogo ligure. Introduce il pastore William Jourdan, relazione a cura del direttore di Riforma Alberto Corsani.
* M. Robinson, Leggere Genesi. Bologna, Marietti1820, 2025, pp. 288, euro 19,00.