8×1000. Chi non firma decide lo stesso. E spesso non lo sa

Conversazione con Marta Vergari e Alessandro Spanu sulla nuova campagna Otto per mille Ucebi (Unione cristiana evangelica battista d’Italia)

 

“State sempre a chiedere soldi…”. Questa è una delle critiche più ricorrenti quando si parla di Otto per mille.

Molti pensano che, non scegliendo, possano tenersi quei soldi. Sbagliato.

L’Otto per mille è trattenuto per legge. Molte persone credono che, senza firmare, si troveranno in tasca una quota di quelle tasse. L’Otto per mille di chi non sceglie, invece, viene equamente ripartito tra i diversi enti che ne hanno diritto (Stato e confessioni religiose), rispettando le proporzioni delle scelte espresse dai cittadini che hanno firmato.

 

Insomma, non firmare non significa risparmiare. Anzi.

 

Chi non sceglie (quasi il 60% di chi fa la dichiarazione dei redditi!) subisce le scelte altrui.

Dove finiscono i soldi provenienti da questa imposta sui redditi che, lo ripetiamo, è applicata a tutti i contribuenti, senza eccezioni? Per quanto riguarda i fondi UCEBI (Unione cristiana evangelica battista d’Italia), questo denaro ritorna alla cittadinanza sotto forma di servizi, assistenza, aiuto alle fasce più fragili, interventi contro la povertà e il disagio.

Da qui parte la nuova campagna UCEBI, frutto di un lavoro guidato da Marta Vergari, referente Otto per mille. Ne abbiamo parlato con lei e con il presidente UCEBI, pastore Alessandro Spanu.

 

“Abbiamo voluto parlare a chi non firma affatto – spiega Vergari – anche se a volte ci insulta. È necessario informare e raccontare meglio chi siamo, come funziona l’Otto per mille e la differenza rispetto al Cinque per mille, data la comprovata disinformazione e confusione che c’è al riguardo”.

Un primo passo è stato lo studio dei dati delle precedenti campagne, analizzati in un documento originariamente interno, poi condiviso con l’agenzia Kirweb, che ha curato la comunicazione insieme allo staff di Riccardo Pirrone. Il linguaggio scelto? Quello dell’autoironia, per coinvolgere anche chi guarda alle chiese con sospetto o distanza.

 

“Ci siamo presi in giro anche un po’ da soli – aggiunge Spanu – per entrare in dialogo con chi ci vede come qualcosa di… polveroso. Lo abbiamo fatto entrando in relazione con i giovani, insieme, ridendo e capendo di più di noi stessi, ed è entusiasmante”.

 

Una delle novità è la scelta di TikTok: due contributi al mese, alcuni già con oltre 40.000 visualizzazioni, video POV che provano a spiegare cosa sia l’UCEBI e perché destinare l’8 per mille abbia un senso civile oltre che religioso. “TikTok non serve per raccogliere firme, visto che l’utente medio non ha l’età per fare la dichiarazione dei redditi – prosegue Spanu – ma per raccontare l’UCEBI a chi non ci conosce. È un canale di ascolto e apertura”.

 

Centrale è anche il tema della rendicontazione. Su questo, l’UCEBI sta promuovendo una vera a propria “operazione trasparenza”. Oltre il 90% dei fondi raccolti dall’UCEBI va direttamente a selezionate associazioni e organizzazioni che lavorano nel sociale, nell’assistenza umanitaria e nella lotta all’esclusione. Una quota è anche destinata a progetti di sviluppo all’estero. Il resto va in costi di gestione. Cosa significa? Perché non va in progetti il 100% degli introiti? Perché per leggere e selezionare quelli più meritevoli, per le procedure di accesso ai fondi stanziati, per il controllo delle spese e l’erogazione dei contributi, serve un ufficio, senza il quale sarebbe impossibile erogare risorse in modo efficace e trasparente.

 

Questa campagna si “sposa” con quella della Chiesa valdese. “Non siamo in concorrenza – sottolinea Spanu – anzi, abbiamo collaborato con la responsabile dell’Otto per mille valdese, Manuela Vinay. L’idea comune è far vedere che esistono altre chiese, altre modalità di testimonianza”.

La campagna punta su tre immagini: una che parla di persone “invisibili”, una di problemi che “sembrano lontani” e una di problemi nel mondo che “non sono facili da mettere a fuoco”.

 

Non mancano le difficoltà. Il 2023 ad esempio ha registrato un calo delle firme. Tra i motivi possibili, anche l’alluvione in Emilia-Romagna che ha spinto molte persone a scegliere la nuova voce, all’interno della ripartizione dedicata allo Stato, “calamità ambientali”. Le altre voci sono: fame nel mondo, edilizia scolastica, assistenza ai rifugiati, beni culturali, prevenzione e recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche.

I fondi gestiti direttamente dallo Stato, tuttavia, non vengono pienamente utilizzati per le categorie previste, come denunciato da una recente inchiesta di Milena Gabanelli.

 

Fra le criticità, anche l’opacità del meccanismo: molte persone non conoscono la differenza tra 5, 8 e 2 per mille, o vengono spinte a firmare senza consapevolezza.

“Capita che ci confondano con i buddisti – racconta Vergari – oppure che credano che le quote non firmate tornino al cittadino. È un grande equivoco. Come quello di credere che l’Otto per mille si possa destinare ad associazioni animaliste perché viene confuso con il Cinque per mille. Per questo servono trasparenza e informazione”.

 

Per il 2026 è previsto un calo a 16.000 firme (oggi sono circa 17.500), ma il senso della campagna non cambia: raccontare una chiesa diversa, che sceglie di esserci, anche per chi non la vede.