La Chiesa episcopale rifiuta di reinsediare gli afrikaner bianchi e pone fine alla collaborazione con il governo degli Stati Uniti

La Chiesa anglicana statunitense molto critica nei confronti dell’ordine esecutivo della Casa Bianca che mira ad accogliere i discendenti dei coloni olandesi che crearono l’apartheid e che secondo Trump oggi subiscono a loro volta persecuzioni

 

Con una mossa eclatante che pone fine a un rapporto di quasi quattro decenni tra il governo federale e la Chiesa episcopale, lunedì 12 maggio la denominazione ha annunciato la fine della collaborazione con il governo statunitense per il reinsediamento dei rifugiati, citando l’opposizione morale al reinsediamento degli afrikaner bianchi del Sudafrica che sono stati classificati come rifugiati dall’amministrazione del presidente Donald Trump.

 

In una lettera inviata ai membri della Chiesa, Sean W. Rowe – vescovo presidente della Chiesa episcopale – ha dichiarato che due settimane fa il governo «ha informato l’Episcopal Migration Ministries (ufficio per le migrazioni della chiesa) che, in base ai termini della nostra convenzione federale, siamo tenuti a reinsediare gli afrikaner bianchi del Sudafrica che il governo degli Stati Uniti ha classificato come rifugiati».

La richiesta, ha detto Rowe, «ha oltrepassato una linea morale per la Chiesa episcopale, che fa parte della Comunione anglicana globale e che vanta tra i suoi leader il defunto arcivescovo Desmond Tutu, un celebre e dichiarato oppositore dell’apartheid in Sudafrica».

 

«Alla luce del fermo impegno della nostra Chiesa per la giustizia razziale e la riconciliazione e dei nostri legami storici con la Chiesa anglicana dell’Africa del Sud, non siamo in grado di compiere questo passo», ha scritto ancora Rowe. «Di conseguenza, abbiamo deciso che, entro la fine dell’anno fiscale federale, concluderemo i nostri accordi di sovvenzione per il reinsediamento dei rifugiati con il governo degli Stati Uniti».

 

La minoranza bianca in Sud Africa, come scrive il settimanale Internazionale, «rappresenta poco più del 7 per cento della popolazione sudafricana, ma nel 2017 possedeva il 72 per cento dei terreni agricoli, secondo i dati del governo. Questa situazione, che le leggi approvate in Sudafrica a partire dal 1994 puntano a correggere, è la conseguenza delle politiche d’espropriazione promosse in epoca coloniale e durante l’apartheid. Gli afrikaner costituiscono la maggior parte della popolazione bianca del paese. È da questa minoranza che provenivano i leader politici che istituirono l’apartheid, un sistema di segregazione razziale che ha tolto ai neri tutti i loro diritti dal 1948 ai primi anni novanta».

 

Un primo gruppo di 49 afrikaner, discendenti dei coloni olandesi che s’insediarono in Sudafrica nel seicento è atterrata per l’appunto il 12 maggio. In base a un ordine esecutivo firmato dal presidente statunitense Donald Trump, queste persone hanno diritto alla protezione perché, recita il testo dell’ordine esecutivo, «hanno subìto l’esproprio delle loro terre e sono vittime di “genocidio”».

Rowe ha sottolineato che mentre l’Episcopal Migration Ministries cercherà di «chiudere tutti i servizi finanziati a livello federale entro la fine dell’anno fiscale a settembre», la denominazione continuerà a sostenere gli immigrati e i rifugiati in altri modi, ad esempio offrendo aiuto ai rifugiati che sono già stati reinsediati.

 

Il governo sudafricano ha negato con forza le accuse di animosità razziale sistemica, così come ha ribadito una coalizione di leader religiosi bianchi della regione che include molti anglicani.

«Le ragioni dichiarate (per le azioni di Trump) sono le rivendicazioni di vittimizzazione, la violenza e la retorica odiosa contro i bianchi in Sudafrica insieme alla legislazione che prevede l’esproprio di terre senza compensazione», si legge nella lettera dei leader religiosi bianchi sudafricani, che include tra i suoi quattro autori un sacerdote anglicano. «Come sudafricani bianchi che esercitano una leadership attiva all’interno della comunità cristiana e che rappresentano diverse prospettive politiche e teologiche, respingiamo all’unanimità queste affermazioni».

 

Oltre ai legami con Tutu, la Chiesa episcopale ha una lunga storia di sostegno contro l’apartheid in Sudafrica. Ha iniziato a modificare le sue partecipazioni finanziarie nella regione nel 1966 e a metà degli anni Ottanta ha votato per il disinvestimento dalle aziende che operavano in Sudafrica.

 

In una dichiarazione, la portavoce della Casa Bianca Anna Kelly ha affermato che la decisione della Chiesa episcopale «solleva seri interrogativi sul suo presunto impegno negli aiuti umanitari». Ha affermato che «gli afrikaner hanno affrontato orrori indicibili» e «non sono meno meritevoli del reinsediamento dei rifugiati rispetto alle centinaia di migliaia di altre persone che sono state ammesse negli Stati Uniti durante la passata amministrazione».

 Kelly ha aggiunto: «Il presidente Trump è stato chiaro: il reinsediamento dei rifugiati dovrebbe essere una questione di necessità, non di politica».

 

L’amministrazione Trump ha praticamente congelato il programma per i rifugiati, con gli afrikaner tra le poche – e forse uniche – persone a cui è stato concesso l’ingresso come rifugiati da gennaio, nonostante migliaia di persone provenienti da altri Paesi sperino di entrare negli Stati Uniti per evitare persecuzioni e violenze. Poco dopo il suo insediamento, Trump ha firmato un ordine esecutivo che ha sostanzialmente bloccato il programma per i rifugiati e ha bloccato i pagamenti alle organizzazioni che assistono il reinsediamento dei rifugiati – compresi i pagamenti per il lavoro già svolto. Questo cambiamento ha lasciato i rifugiati – compresi i cristiani in fuga dalla persecuzione religiosa – senza un percorso chiaro e ha costretto i 10 gruppi che negli Stati Uniti si occupano di reinsediamento dei rifugiati, sette dei quali basati sulla fede, a licenziare decine di lavoratori mentre cercavano ancora di sostenere i rifugiati arrivati di recente. Quattro dei gruppi religiosi hanno intentato due cause separate, una delle quali ha recentemente portato a una sentenza che avrebbe dovuto riavviare il programma. Tuttavia, i gruppi di rifugiati hanno accusato il governo di «ritardare il rispetto» dell’ordine del tribunale.

 

Un rappresentante del Church World Service, che è tra i gruppi che stanno facendo causa all’amministrazione, ha dichiarato che l’organizzazione «ha accettato di sostenere una famiglia attraverso servizi a distanza», ma ha fatto riferimento a un’ulteriore dichiarazione della scorsa settimana che esprimeva la continua frustrazione per le azioni del governo.

«Siamo preoccupati per il fatto che il governo degli Stati Uniti abbia scelto di accelerare l’ammissione degli afrikaner, mentre si oppone attivamente agli ordini del tribunale di fornire un reinsediamento salvavita ad altre popolazioni di rifugiati che ne hanno un disperato bisogno», ha dichiarato la settimana scorsa Rick Santos, capo del Church World Service, uno dei gruppi di reinsediamento che hanno fatto causa al governo.

«Reinsediando questa popolazione, ha proseguito Santos, il Governo sta dimostrando di avere ancora la capacità di esaminare, processare e far partire rapidamente i rifugiati verso gli Stati Uniti. È ora che l’Amministrazione onori l’impegno della nostra nazione nei confronti delle migliaia di famiglie di rifugiati che ha abbandonato con il suo crudele e illegale ordine esecutivo».

 

Matthew Soerens, vicepresidente di World Relief, un gruppo cristiano evangelico che aiuta a reinsediare i rifugiati, ha dichiarato in un’e-mail che il suo gruppo prevede di «aiutare un piccolo numero» di arrivi che hanno i requisiti per i servizi finanziati dall’Ufficio per il reinsediamento dei rifugiati. Ma ha aggiunto che la situazione è «complicata dal fatto che il governo non li sta portando negli Stati Uniti attraverso il tradizionale processo di reinsediamento iniziale del Dipartimento di Stato, dove World Relief è storicamente una delle dieci agenzie private che attuano questo partenariato pubblico-privato, perché tale processo rimane sospeso». E ha aggiunto: «La nostra risposta principale a questa situazione è continuare a sollecitare l’amministrazione a riprendere il processo di reinsediamento iniziale per un’ampia gamma di individui che sono fuggiti dalle persecuzioni a causa della loro fede, delle loro opinioni politiche, della loro razza o per altri motivi previsti dalla legge statunitense – e sottolineare il sostegno a farlo da parte dei cristiani evangelici che sono la base di supporto principale di World Relief, compresi alcuni evangelici molto conservatori che vedono il reinsediamento dei rifugiati come uno strumento vitale per proteggere coloro a cui viene negata la libertà religiosa all’estero».

 

 

 

Foto: Johannesburg, Museo dell’Apartheid, ingresso