
Esequie e minuti di silenzio
Perplessità attorno alle scelte del Governo per la gestione del lutto legato alla morte del papa
La morte di papa Francesco è stata accompagnata dalle decisioni del Consiglio dei Ministri di indire cinque giorni di lutto nazionale, accompagnati da un minuto di silenzio da svolgersi in scuole e uffici pubblici il 26 aprile o il primo giorno utile dopo tale data, e quindi lunedì 28 aprile. Due scelte che hanno suscitato perplessità. Abbiamo chiesto lumi all’avvocata Ilaria Valenzi, consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) e componente della Commissione delle chiese evangeliche per i rapporti con lo Stato (Ccers).
«Il lutto nazionale, si legge sul sito del Governo, è regolato da delibere del Consiglio dei Ministri e, insieme alle esequie di Stato, possono essere riservate a personalità che abbiano offerto particolari servizi alla Patria o cittadini che abbiano illustrato la Nazione, o cittadini caduti nell’adempimento del dovere o vittime di azioni terroristiche o di criminalità organizzata».
«È una circolare del 2002 a regolare il tutto – ci spiega Valenzi –, dagli abiti alle bandiere il cerimoniale è dettagliato a fondo. Senza riferimenti a quanto debba durare il lutto, che quindi è scelta discrezionale del Governo». E senza indicazioni su minuti di silenzio da rispettare. Tre giorni furono per Giovanni Paolo II, ancor meno in passato. «L’anomalia di questa occasione sta proprio nel minuto di silenzio – prosegue Valenzi – che non rientra fra gli adempimenti previsti dalla circolare citata e che è quindi eventualmente inserito di volta in volta. In passato vi erano stati alcuni suggerimenti a rispettarlo, ma la disposizione di questi giorni pare un obbligo, non un invito, per scuole e uffici pubblici».
Un governo che insomma si mostra più ligio dei ligi: «Questa misura così puntuale fa abbastanza pensare, rimanda a certo confessionalismo dello Stato che non si vedeva da tempo». Un disegno non nuovo. «Non è solo il problema del minuto di silenzio in sé, già importante: esso si pone all’interno di un programma più generale di riconfessionalizzazione della scuola pubblica che avviene troppo spesso. Calano i numeri di chi si avvale dell’insegnamento dell’ora di religione, una diminuzione significativa e costante che imporrebbe un ripensamento globale della materia, alla luce di persone che scelgono di non far avvalere più i propri figli più dell’Insegnamento religioso cattolico. Lo “Sportello Scuola, Laicità, Pluralismo” della Fcei riceve spesso segnalazioni di ingerenze di vario livello, da presenze vescovili nelle scuole a manifestazioni confessionali che magari avvengono fuori dall’orario scolastico ma la cui preparazione avviene in classe, sottraendo tempo ad altro. Per non parlare di associazioni quali le cosiddette “pro vita”, che vengono accreditate a intervenire nelle scuole per scopi a esempio di formazione, mentre propongono temi religiosamente orientati. Non si può entrare nella scuola con la forma associativa quando in realtà si tratta di realtà confessionali, non si può eludere così la norma».
Mentre era in viaggio per Roma, abbiamo raggiunto telefonicamente il vescovo di Pinerolo, Derio Olivero, che è anche presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo, per un commento sulla situazione politica che si è venuta a creare in questi ultimi giorni in Italia, dopo la morte del papa. A partire da un certo protagonismo della politica. «Diciamo che di fronte a questo evento, alla morte del papa, molte persone ne hanno approfittato per parlare di loro stesse, dimenticando invece di parlare della persona scomparsa. Più volte il papa si è espresso duramente su alcune questioni come quella della guerra, ma le sue parole sono cadute nel vuoto. Oggi invece tutti approfittano per una sorta di passerella».
I cinque giorni di lutto nazionale e le varie sobrietà imposte ci paiono un po’ eccessive per uno stato laico. «Condivido assolutamente questa posizione; cinque giorni sono eccessivi, ricordiamo che per Giovanni Paolo II i giorni furono tre, sicuramente numeri più equi. E anche l’invito del Governo alla sobrietà non mi trova d’accordo. Il 25 Aprile, questo 25 Aprile in particolare, va celebrato come è giusto che sia perché è un momento fondamentale per la nostra storia. Sulla questione dell’attacco alla laicità dello Stato ritengo invece che questa sia strumentale. Papa Francesco ha più volte dimostrato di essere in ascolto di tutti, confessioni religiose e politica, il suo operato è stato di portata mondiale, ha cercato di dare una direzione a questo mondo e per questo è giusto che venga ricordato». Anche con un minuto di silenzio nelle istituzioni pubbliche come la scuola? «Si, ritengo che quando muore una persona di questa caratura, di questo rilievo internazionale, sia giusto ricordarlo in questo modo».
Su questo punto il pastore Peter Ciaccio, raggiunto da Daniela Grill di Radio Beckwith evangelica, ha commentato: «Il lutto nazionale può e deve essere vissuto come momento e manifestazione di empatia nei confronti di chi in questo momento è in profondo dolore, in lutto. Quello che fatico a comprendere è che si vada oltre al giorno: con quale criterio, infatti, stabilire chi merita più o meno giorni di lutto? Mi sembra di vedere un problema teologico e spirituale, cioè quell’ansia esistenziale combattuta anche da Lutero e dalla Riforma protestante, un’ansia derivante dalla domanda: “è abbastanza, è sufficiente quello che faccio?”. Di fronte alla morte di una persona cara, che sia un parente, un amico, un leader politico o religioso, non possiamo fare nulla che sia sufficiente. Se un giorno mi pare poco, cinque giorni continuano a non essere sufficienti. Tutti noi lo sappiamo: ci sono delle morti che trasformano la nostra vita. C’è chi porta il lutto a vita. Cedere all’ansia esistenziale del “non basta” moltiplicando i giorni del lutto, credo sia errato. Per un cristiano, una cristiana, poi, è uno sminuire la grazia e la speranza che i nostri morti ora sono in buone mani e non hanno bisogno di giorni di lutto in più. Diverso è il lutto pubblico, che rappresenta il dovere di chi è in vita di fermarsi dalla quotidianità pianificata».
Foto di Stefano Stranges