Al-Ahli Arab Hospital: una storia anche nostra

La storia di una struttura nata negli ultimi anni dell’800 in epoca di colonialismo, segnata dai rischi di proselitismo. Ora è emblema di una umanità che non riesce a trovare regole di convivenza

 

Nella notte della Domenica delle Palme le forze israeliane hanno bombardato l’ospedale al-Ahli di Gaza City, il più grande ospedale ancora funzionante nel nord della Striscia di Gaza. L’ospedale era già stato colpito il 17 ottobre 2023 quando perirono 471 persone a causa di un razzo precipitato sull’edificio e, molto probabilmente, lanciato proprio da Gaza.

La storia di questo ospedale merita un approfondimento perché riguarda da vicino il mondo protestante.

 

È stata l’inglese Church Mission Society (Cms) a costruire nel lontano 1882 un semplice dispensario: Gaza contava circa 20 000 abitanti, tutti musulmani, e l’area faceva parte dell’impero ottomano. Il territorio di Gaza, però, era d’importanza strategica per il colonialismo britannico perché confinava con l’Egitto, uscito sconfitto dalla guerra con gli inglesi e, quindi, destinato a essere ridotto a protettorato. 

La Church Mission Society scelse la città di Gaza come sede per una missione medica inscindibile, almeno a quel tempo, da un’opera di evangelizzazione e il reverendo R. Elliot, sacerdote anglicano e direttore sanitario mise in pratica la cosiddetta medicina “missionaria»”, che non distingueva la cura del corpo dalla cura dell’anima. Nonostante la tolleranza interessata del governo ottomano, la missione, localmente, era vista con ostilità. L’assistenza medica veniva accettata dai pazienti musulmani solo in situazioni estreme e questi si rifiutavano, categoricamente, di “morire sotto un tetto cristiano”.

 

Le cure erano destinate alla fascia più emarginata della società palestinese, anche in vista di una possibile conversione. L’ospedale Cms (non ancora noto come al-Ahli) era l’unica struttura medica moderna lungo i 300 km. che separano Porto Said, sul Mediterraneo all’ingresso del Canale di Suez, da Giaffa, nei pressi dell’attuale Tel Aviv. 

Dopo la Prima guerra mondiale, sotto il mandato inglese, crebbe però la sfiducia e l’ostilità dei musulmani che temevano i tentativi espliciti di conversione e per temperarle, all’inizio degli anni Trenta, venne assunto un medico palestinese, il dottor Muir Waheed di Beirut, poi nominato direttore nel 1937 quando i medici britannici lasciarono il paese. 

 

La situazione cambiò radicalmente con la crescente immigrazione ebraica, la fine della Seconda Guerra mondiale e del protettorato britannico. Con la dichiarazione d’indipendenza d’Israele nel 1948 la Striscia di Gaza finì sotto il controllo dell’Egitto, che si protrasse per vent’anni. La struttura ospedaliera venne così ceduta al Foreign Mission Board della Southern Baptist Convention e si ritrovò all’incrocio tra l’amministrazione egiziana e l’Unrwa (l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi): infatti, buona parte dei pazienti dell’ospedale era costituita da rifugiati palestinesi che vivevano nei campi militari di Rafah e di Khan Younis (al sud della striscia) in conseguenza dell’esodo forzato (nakba) dai territori assegnati agli israeliani.

 

L’evangelizzazione nei reparti ospedalieri, il fulcro della medicina missionaria britannica a Gaza, finì senza tante cerimonie. Tra l’amministrazione egiziana e la missione battista si creò un rapporto di mutua sopportazione e all’inizio degli anni Sessanta raddoppiarono i pazienti ambulatoriali. La scuola infermieristica battista rimase l’unica a Gaza, con un programma triennale che attirava studenti dal Libano, dalla Giordania e dall’Egitto. 

 

Il 6 giugno 1967 Gaza cadde in mano a Israele e, a causa della guerra, anche l’ospedale venne colpito. La guerra del 1967 sconvolse le istituzioni preesistenti e la vita quotidiana regolata dal controllo militare israeliano, esercitato con crudezza, anche con lo scopo di eliminare l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, nata pochi anni prima. Progressivamente il Gaza Baptist Hospital divenne un piccolo ospedale privato con dei costi insostenibili. Senza soldi e di fronte alla persistente ostilità per l’attitudine al proselitismo, l’ospedale venne restituito alla Church Mission Society che l’aveva fondato, con il nuovo nome di al-Ahli Arab Hospital. Fu proprio durante la prima Intifada del 1987 che l’attuale direttrice, Suhaila Tarazi dopo aver perfezionato i suoi studi in Egitto grazie a un programma presso una chiesa battista, iniziò a lavorare nell’ospedale al-Ahli.

 

Con gli accordi di Oslo del 1994 e l’istituzione dell’Autorità palestinese anche sulla Striscia di Gaza, vennero coltivate speranze di pace e tranquillità messe in discussione dalle restrizioni israeliane all’economia palestinese. Dal 2006, dopo la vittoria alle elezioni di Hamas a Gaza, ci furono ricorrenti e catastrofiche guerre con Israele, la più pesante delle quali, nell’agosto 2014, durò 51 giorni e – ricorda Suhaila Tarazi – causò la morte di migliaia di persone innocenti. 

In un’intervista rilasciata il giorno dopo la tragedia del 17 ottobre 2023 a Christianity Today ha espresso la sua ferma convinzione: «Questo ospedale continuerà a essere un luogo di riconciliazione e di amore. La storia di questo ospedale racconta che siamo tutti figli di un unico Dio, sia che siamo cristiani, musulmani o ebrei».

 

In realtà non sembra che l’ospedale abbia scritto una storia di riconciliazione e di amore. Racconta piuttosto la storia dolente e tragica di un’umanità prigioniera di una permanente ambivalenza, con la sua tendenza a presentare spesso un sopruso come un’offerta di salvezza o a rappresentare il proprio diritto a esistere come un diritto a eliminare il prossimo.