Speciale 80 anni dalla Liberazione. Intervista ad Adelmo Cervi

Resistenza, memoria, libertà. Il presente e il futuro della nostra democrazia

 

È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese nell’area sud della provincia di Torino (lo trovate in centinaia di luoghi pubblici, dalle biblioteche ai negozi) il numero di aprile del mensile free press L’Eco delle valli valdesi che potete leggere integralmente anche dal nostro sito, dalla home page di di www.riforma.it.Il numero è pressoché interamente dedicato agli 80 anni dalla Liberazione dal regime nazifascista. Fino al 25 aprile ogni venerdì vi proporremo alcuni degli articoli contenuti nello speciale.

Buona lettura

 

È l’alba del 28 dicembre 1943 quando nel poligono del tiro a segno di Reggio Emilia un reparto fascista fucila sette fratelli partigiani – Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi – assieme a un disertore che si è nascosto a casa loro, Quarto Camurri. Questa storia è uno dei simboli più duraturi e radicati nella memoria pubblica della Resistenza in Italia.

 

Ho incontrato Adelmo Cervi per una conversazione sul rapporto tra memoria e Resistenza, sull’eredità di quella stagione di lotta per la libertà e la democrazia pagata a carissimo prezzo e su come, nel presente, abbia ancora senso incarnare quella lotta. Tra i ricordi più belli di quel tardo pomeriggio trascorso in radio con Adelmo conservo soprattutto una stretta di mano, vigorosa e vitale che ci siamo scambiati, quasi a sancire un patto di fiducia, un riconoscimento reciproco, una sintonia prima delle parole.

 

Ho chiesto ad Adelmo una riflessione sul tempo che viviamo ed egli, calorosamente fluviale nel suo eloquio, ha esordito dicendo: «Faccio fatica in pochi minuti, è una domanda importante per una storia importante, che parte da molto lontano: perché quello che succede è conseguenza di quello che si è fatto prima. Chi ha avuto il “privilegio”, come me, di aver visto uccisi padre e zii non può sopportare le nostalgie autoritarie presenti, perché abbiamo pagato con il sangue affinché nascesse una repubblica democratica. Ma anche se tutti dobbiamo partecipare, certo non c’è spazio per i fascisti e per i nazisti».

 

Ed eccoci allora al valore della memoria. Ancora oggi è necessario chiedersi che cosa rimane di quella lotta per la libertà e la democrazia? La critica di Adelmo è puntuale: «Si è fatto poco per applicare i principi democratici, se penso a come vanno le cose oggi: il diritto allo studio, il diritto a curarsi e a una sanità pubblica per tutti… Se rimanessimo uniti sui fondamentali e se facessimo conoscere davvero sin dagli anni della scuola gli articoli fondamentali della Costituzione, eviteremmo la confusione».

Ciò che conta è combattere le ingiustizie: questo significa, realmente, essere antifascisti: «Questo vale oggi, vale domani e anche dopodomani. Voglio rivalutare la parola “compagno”, che ha dentro di sé valori quali la giustizia, la lotta allo sfruttamento e per un mondo più giusto e umano». Una lotta eterna, che porta a chiedersi se vivremo mai in una democrazia compiuta.

Adelmo Cervi non si illude: «Le ingiustizie sono nate con il primo uomo e moriranno con l’uomo, ma questo vuol dire essere pronti a lottare, sempre».

 

Il ruolo dei giovani e delle donne, negli anni della Resistenza è stato fondamentale, ma Adelmo è «stanco di sentire parlare delle donne solo come staffette. Sono state molto di più e hanno rischiato sempre moltissimo quando entravano dentro le file degli avversari. Anche rispetto alla mia famiglia: non si è parlato quasi mai delle donne al suo interno, dei sacrifici di mia madre e delle mie zie: l’accudimento di una “brigata di piccoli”, il lavoro nei campi quando sono rimaste sole, le responsabilità con sette uomini in meno, l’isolamento, l’incendio della casa».

La mitizzazione della famiglia Cervi ha stufato Adelmo, i cui parenti, dice «non erano certo degli eroi, erano persone in carne e ossa come tutti, erano dei mezzadri. Un eroe, un supereroe è il padrone del mondo, come può esserlo un mezzadro?».

 

L’incontro con i ragazzi scalda ancora Adelmo, «perché se li stimoli ci sono. Se i ragazzi sapessero cos’è la Costituzione, cos’è lo sfruttamento, se sapessero che in guerra muoiono i poveri disgraziati e che i re, i ricchi, i principi non muoiono mai…».

 

La guerra, certo. Inevitabile una riflessione sul presente intriso di guerra, violenza, sopraffazione. «Quando si è parlato di invio di armi (in Ucraina) ho detto di essere contrario: ce lo dice la Costituzione, ce lo dice il buon senso e ce lo dice la parte umana di noi perché le armi uccidono».

Traendo spunto dalla copertina del libro I miei sette padri, con Adelmo in sella alla sua bici che va verso l’orizzonte, c’è una parola che si può ancora pronunciare: speranza.

«Penso di sì, anche se il mio ruolo è quello di dire ciò che non funziona. E dobbiamo considerarci dei privilegiati, nonostante tutto. Oltre a essere responsabili di molte delle storture del mondo, a partire dalle questioni ambientali. L’uomo è uomo, come detto, ma se siamo riusciti, pagando un prezzo pesante, a uscire dalla dittatura fascista che sembrava essere invincibile, vuol dire che qualcosa di buono l’abbiamo fatta».

 

Per approfondire:

 

– Adelmo Cervi, I miei sette padri. Storia di una grande famiglia antifascista raccontata da

un figlio (2022).

I miei sette padri (documentario, regia di Liviana Davì, 2023). Il teaser: https://www.youtube.com/watch?v=-1p34zrjjYA

Memoria e resistenza. Conversazione con Adelmo Cervi