
Speciale 80 anni dalla Liberazione. “Fuochi d’artificio”
La libertà di oggi ha radici profonde: 80 anni di 25 aprile. Intervista ad Andrea Bouchard: dal suo romanzouna fiction in tre puntate in onda nei prossimi giorni su Rai Uno
È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese nell’area sud della provincia di Torino (lo trovate in centinaia di luoghi pubblici, dalle biblioteche ai negozi) il numero di aprile del mensile free press L’Eco delle valli valdesi che potete leggere integralmente anche dal nostro sito, dalla home page di di www.riforma.it.Il numero è pressoché interamente dedicato agli 80 anni dalla Liberazione dal regime nazifascista. Fino al 25 aprile ogni venerdì vi proporremo alcuni degli articoli contenuti nello speciale.
Andrà in onda in prima serata su Rai Uno, il 15, 22 e 25 aprile, la fiction tratta dal romanzo per ragazzi di Andrea Bouchard, Fuochi d’artificio: una storia di Resistenza, ambientata nell’immaginaria val Praverso, che richiama però le “nostre” valli Pellice, Chisone e Germanasca, in cui quattro adolescenti diventano partigiani… all’insaputa dei partigiani stessi.
Una storia di amicizia, amore, coraggio e libertà che nell’ottantesimo anniversario della Liberazione, e nel contesto storico e politico che viviamo, assume un valore particolare, forse soprattutto perché destinata ai più giovani.
– Fuochi d’artificio, uscito nel 2015, è il suo quarto libro: un romanzo di invenzione, ma ispirato da fatti, luoghi e personaggi assolutamente reali: a quali, in particolare, si è ispirato?
«Sono tantissimi, partirei proprio dai molti racconti dei miei genitori, dai loro vissuti, emotivamente molto forti, anche se nel 1945 avevano solo 9 e 14 anni; passando attraverso altri racconti familiari, come quelli su Willy Jervis, che era un mio prozio.
Però, quando ho deciso di scrivere il libro ho letto quasi tutti i libri a disposizione, in particolare Beppe Fenoglio. Il partigiano Johnny l’avevo letto da giovane (e non ci avevo capito niente!), ma riletto da adulto maturo l’ho adorato, soprattutto perché dice le cose come stanno, senza retorica, diversamente da alcuni partigiani che raccontano la loro storia con un pizzico di retorica, non dicono le cose brutte… Fenoglio invece dice proprio tutto, ma con amore… Mi sono riconosciuto nel suo spirito, mi piace l’idea che la verità sia affascinante nelle ombre come nelle luci, e io vorrei raccontare quella, non togliere le ombre per rendere il racconto più bello. Poi, essendo un libro per ragazzi, chiaramente non ho messo tante “ombre” nel senso di comportamenti discutibili dei partigiani…».
– Da quando è uscito il libro, la situazione socio-politica è molto cambiata: avrebbe immaginato che il tema dell’antifascismo sarebbe diventato così “urgente”?
«Certo era difficile immaginare la rinascita di partiti neonazisti, ma in realtà già alla fine degli anni Novanta c’era il tentativo di dire “in fondo erano in buona fede anche i ragazzi di Salò”, confondendo il lato umano e quello valoriale. Questo per me è molto importante, distinguere le due cose. Si dice “perdoniamo i ragazzi di Salò”, certo che li perdoniamo, molti non avevano scelta o erano ingenui, ma altra cosa è equiparare tutti i valori… noi difendiamo i valori di libertà, rispetto, democrazia, che non sono la stessa cosa dei valori fascisti, la forza, il dominio. Mi è rimasto nel cuore ciò che mi ha detto Roberto Malan, capo militare dei partigiani della val Pellice, quando l’ho intervistato: “insegnavo ai miei uomini a non odiare”. Forse non erano tutti così… ma la maggior parte dei partigiani aveva rispetto per l’uomo».
– Lei insegna nelle scuole elementari e ha incontrato molti ragazzi alle presentazioni del libro: che cosa rileva?
«Trovo tanto interesse: quando i ragazzi sono messi a contatto con una realtà e hanno la possibilità di ragionarci possono stupirci, ho visto ragazzini che conoscono e cantano le canzoni partigiane… C’è una parte dell’Italia che tiene a tramandare questa esperienza, anche professori e genitori. Naturalmente ci sono tante altre Italie, che sono più indifferenti o ignoranti…».
– Veniamo alla fiction… Ci sono differenze importanti con il romanzo?
«Mi trovo molto in sintonia con lo spirito con cui è stata fatta, la regista Susanna Nicchiarelli ha una visione molto simile alla mia, sia sull’importanza di questi valori sia sul modo in cui esprimerli, anche con una certa leggerezza: non volevo fare qualcosa di angosciante, triste, ma suggerire una certa vitalità, nei personaggi, in quello che succede, e in questo spirito mi sono ritrovato. Una differenza rispetto al libro è il ruolo dei nonni, che è stato molto potenziato perché la fiction si rivolge a un pubblico di famiglie, ma i personaggi chiave sono rimasti fedeli al testo. Non ho condiviso alcune scelte artistiche, dettate anche a livello di produzione Rai, ma è normale… Comunque sono molto contento che sia stata fatta la serie televisiva, perché estende il pubblico dei fruitori della storia, ed è un riconoscimento non soltanto per il libro, ma anche della rilevanza dell’argomento. Il mio obiettivo era fare arrivare la storia ai ragazzi, con parole accessibili a tutti, e ho visto che è piaciuta anche agli adulti…».