
Guerre e paci
Da oggi sino a domenica 30 marzo la città di Torino ospita l’edizione 2025 di Biennale Democrazia
Con il titolo Guerre e Paci, la IX edizione di Biennale Democrazia, che si terrà da oggi 26 marzo sino a domenica a Torino, è dedicata al conflitto, alla violenza e alla guerra, alla luce della persistente minaccia di scontri interni alle società democratiche e dell’attuale scenario di crescente tensione globale.
«Discuteremo della democrazia come tecnica di convivenza pacifica tra individui, nazioni, specie – affermano i promotori –. Se il conflitto è connaturato al carattere plurale delle nostre società, le istituzioni democratiche devono recuperare la loro funzione di risoluzione pacifica delle controversie. Lungi dall’essere il frutto della presunta bontà dell’essere umano, la pace è piuttosto il risultato di equilibri precari spinti dalla necessità di trovare accordi che salvaguardino la sopravvivenza dei singoli, degli Stati, del pianeta».
In questa edizione si discuterà dunque di violenza e di conflitti nelle loro diverse dimensioni e delle strategie di pacificazione, dentro e fuori i confini nazionali: «per esplorare il rapporto tra i conflitti e le possibilità di pacificazione, la IX edizione si articolerà in quattro percorsi: violenze e dissenso nelle società democratiche; geopolitica della guerra e della pace; conflitti globali, conflitti locali; immaginare la pace, tra utopia ed eresia».
Biennale Democrazia è una manifestazione culturale promossa dalla Città di Torino e realizzata dalla Fondazione per la Cultura Torino. Obiettivo dell’iniziativa è la diffusione di una cultura della democrazia che sappia tradursi in pratica democratica; è un laboratorio permanente d’idee aperto a tutti, con una particolare attenzione nei confronti degli studenti delle scuole superiori e dell’università.
Si inizia oggi alle 16,30 al Teatro Carignano con lo storico Alessandro Barbero in dialogo con Manuela Ceretta con l’appuntamento intitolato: Come finiscono le guerre.
«Che cosa porta alla fine di una guerra: le vittorie sui campi di battaglia? La diplomazia (nelle ambasciate e nei salotti)? Le lotte pacifiste? O, più semplicemente, il caso? Siamo soliti osservare guerra e pace sotto lenti diverse: la guerra come destino ineluttabile; la pace, invece, come compito. Perfino il pensiero utopico non ha rinunciato alla guerra: e così società immaginarie, inventate a tavolino con un tratto di penna, vedono risorgere (contro ogni logica apparente) i conflitti armati. Sembra insomma che, da secoli, riteniamo la guerra inevitabile: eppure ogni sua ricomparsa – l’ultima volta tre anni fa – ci lascia stupefatti, sotto shock. Come interpretare questo nostro insieme, in apparenza paradossale, di ingenuità e fatalismo? Uno storico militare risponde alle sollecitazioni di una storica dell’utopia, provando a delineare come sia cambiato, nel tempo, il nostro approccio alla guerra e alla pace».
Foto Riforma – Archivio 2019
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