Le zone d’ombra dei nostri rapporti

Il fascino della storia di Isacco in un romanzo pubblicato da Claudiana: a colloquio con l’autore Luca Miele

 

Una storia universalmente conosciuta, e ampiamente elaborata dal pensiero filosofico e dalla letteratura: la vicenda di Isacco e del suo sacrificio continua a interrogarci, anche attraverso dele voci nuove. Il romanzo di Luca Miele, giornalista di Avvenire, pubblicato dall’editrice Claudiana, dà voce ai singoli personaggi che e entrano di volta in volta in scena: Sara, Abramo, Isacco stesso, Ismaele, perfino il Faraone… per ricostruire questa vicenda emblematica. Ne abbiamo parlato con l’autore.

 

– La storia di Isacco (e di Abramo) figura in molte creazioni dell’immaginario: la canzone di Leonard Cohen, Timore e tremore, uno dei capolavori di Sören Kierkegaard, il romanzo di J. Safran Foer Eccomi. Da dove deriva questo fascino, che in primo luogo è narrativo?

«Non solo: l’immenso Bob Dylan – uno che secondo Alessandro Carrera “è letteralmente attraversato dalla Bibbia, annega nella Bibbia e con la Bibbia risorge” – apre il brano Highway 61 Revisited, condensando, in una sola strofa, l’intera vicenda biblica. Credo che la forza universale dell’episodio biblico del mancato “sacrificio” derivi molto semplicemente dal fatto che si tratta appunto di una storia di padri e figli. Ma la storia di Isacco – almeno nella lettura che ne do io – insinua un elemento in più. Il pericolo, la minaccia. L’ambivalenza. Tutti i rapporti umani, persino quello tra padre e figlio, sono “portatori” di una dose di oscurità, contengono zone d’ombra. La storia di Isacco ci conduce al cuore “nero” di ogni relazione. Dinanzi a che cosa l’amore di un padre si arresta? C’è una fedeltà più forte del rapporto carnale, filiale? Sono queste le domande “esplosive” che la vicenda di Isacco non cessa di far risuonare. O, almeno, sono quelle che continuano a perseguitarmi».

 

– Vista l’identità di uno dei personaggi, che si incaricano di narrare in prima persona i singoli capitoli, non si può non pensare alla frase «chiamatemi Ismaele…», che apre Moby Dick: chi è Ismaele, uno dei più inquietanti personaggi anche della Bibbia?

«Nel mio Ismaele ho riversato il mio amore per la fratellanza, nutrita dall’immagine che mi restituiscono i miei due figli. Il mio Ismaele ama ed è ricambiato dal fratello Isacco. Sono forse i due personaggi che nel romanzo non si tradiscono mai. Ho voluto così riscattare l’immagine non sempre “brillante” che la Bibbia fornisce della fratellanza».

 

– A parte Ismaele, leggendo il romanzo si notano i diversi registri stilistici tenuti dai vari personaggi: di volta in volta scopriamo nello stile le loro personalità e i loro sentimenti: a che cosa si deve la scelta di articolare la narrazione dai singoli punti di vista?

«Mi piaceva l’idea che ogni personaggio – perché Il figlio della promessa è un romanzo e non un’opera esegetica e come tale mi sono concesso molte libertà e deviazioni rispetto al testo – avesse una sua voce, e una sua voce riconoscibile. Con le dovute proporzioni (lui è un gigante), mi hanno influenzato i romanzi polifonici di Abraham Yehoshua (penso a esempio a Un divorzio tardivo o L’amante). La scrittura in prima persona ha poi una vocazione “teatrale” in cui mi ritrovo molto».

 

– Questi personaggi (e pensiamo in particolare a Sara) non si risparmiano, né risparmiano a noi, i livori, le gelosie, le frustrazioni; ed è giusto, perché così è nella Bibbia, che parla e narra senza reticenze né edulcorazioni, nel bene e nel male, nelle gioie e nel risentimento. In questo senso è emblematica la parabola del padre misericordioso). Non è questo uno dei punti di forza proprio della Bibbia?

«Sì, ed è anche quello tra i più velati, seppelliti da letture allegoriche, simboliche, spiritualistiche, moralistiche o moraleggianti. Comunque rimpicciolenti. A tutto ciò che irrompe in maniera scandalosa, incomprensibile, nella Bibbia si corrisponde con letture che tendono a imprigionare, attutire la forza d’urto della parola. La Bibbia ha poi dei passaggi rapidissimi. Ho cercato di intrufolarmi in quei vuoti dispiegando, nelle pieghe di quei silenzi, la mia narrazione».

 

– Nel catalogo dell’editrice Claudiana troviamo a firma Luca Miele un libro su Springsteen e un altro sul “Vangelo secondo il rock”, con Patti Smith, Tom Waits, un padre fondatore come Woody Guthrie, Bob Dylan, Nick Cave: generi diversi e epoche in parte diverse. La Bibbia le attraversa, come sempre, e come sempre influenza la creatività, ma mi chiedo: non c’è il rischio di far dire agli autori e autrici considerati la “nostra” visione della Bibbia?

«Penso che il rischio di cui parli sia inevitabile, una rifrazione tra autore e interprete è, in un certo senso fatale, anche perché spesso si tratta di autori, come nel mio caso per Springsteen o Kerouac, che si amano, che accompagnano, a volte ossessionandola, un’intera esistenza. Ma è anche un rischio in qualche modo “generativo”: si generano punti di vista, piste di senso nuove, fertili, eccedenti».