Un’idea di Europa alla quale non vogliamo rinunciare

La mancanza di “guerrieri” è da intendersi come un limite per il nostro Continente?

 

Ma davvero l’Europa è un continente debole e senza alcuna capacità di difendersi? Davvero, come intende l’intervento di Antonio Scurati (La Repubblica del 5 marzo), le innovazioni, soprattutto in ambito sociale, di estensione di diritti, di questa Europa (che sono – egli scrive – «solo europee») sono tappe che «scandiscono questo nostro avanzare regressivo verso forme di vita che estendano a ogni età le cure amorevoli riservate all’infanzia…»? Regressivo rispetto a che cosa? A quale forma di vita? Quella in cui avevamo i «guerrieri» nel nostro Vecchio Continente?

 

Innanzitutto una precisazione. Dopo la conclusione della Seconda Guerra mondiale (e dopo i regimi nazifascisti, i Lager e i Gulag, dopo la Shoah, dopo la carestia indotta da Stalin in Ucraina), l’Europa occidentale non ha cessato del tutto le proprie operazioni militari (mentre a Est i carri armati del socialismo reale si preparavano a esercitare la loro repressione, dopo la Polonia, anche in Ungheria e a Praga). Gli europei non fecero più la guerra e non si combatterono… nel territorio europeo; ma ci furono altri conflitti altrove: per dire il caso più rilevante, la Guerra d’Algeria, in cui la Francia si produsse tra il 1954 e il 1962. Poi, alla fine degli anni ’80, quando l’abbattimento del Muro di Berlino pareva preludere a una stagione di nuovo ordine, a pochi km. da casa infuriò la devastante guerra, che fu “anche” etnica, nella ex Jugoslavia. Antico, antichissimo retaggio, quello identitario, a cui si sovrapponevano le più moderne tecniche di repressione del conflitto stesso (la guerra dall’alto), stabilite più volte (ma non sempre) da quell’Onu che oggi quasi non c’è più.

 

Ma, oltre ai governi, anche i popoli dell’Europa occidentale vollero dire che non sarebbe stato più accettabile regolare i conflitti macellando carne da cannone e bombardandosi. Non c’era niente di eroico nella guerra guerreggiata dagli eserciti per decisione dei governi – un discorso diverso va fatto per i fenomeni di resistenza, primo fra tutti quello del nostro paese, fino alla Liberazione di 80 anni fa. C’erano decisioni prese dall’alto e imposte alla gente mandata a morire, gente semplice, contadini e operai. E l’articolo in questione ci dice che oggi «anche le guerre tecnologicamente più evolute necessitano di guerrieri». Già, servono sempre, se si decide di farsi guerra.

 

Per più di quattro decenni nel secolo scorso il cosiddetto “equilibrio del terrore” aveva certamente bloccato la situazione: il rischio nucleare troppo elevato dopo Hiroshima e Nagasaki mise tutti sull’avviso e costrinse Nato e Patto di Varsavia ad accettare come minore dei mali una spartizione delle zone di influenza, e l’Europa ne è stata in qualche modo tutelata. Ma intanto qualcuno, tanti e tante, tutti e tutte, continuavano a dire: basta, mai più. E di pari passo, i paesi di quella che sarà prima la Cee e poi l’Unione europea segnarono dei punti di non ritorno nella gestione della vita. Ciò avveniva con governi anche diversi fra loro: conservatori e progressisti, socialdemocratici, liberali o cristiani. In molti casi, come nelle leggi di avanzamento sociale degli anni ’60/’70 in Italia, con grande condivisione: diritto di famiglia, matrimonio, aborto, Statuto dei lavoratori, diritto allo studio.

 

Ora alcune di queste disposizioni sono allo stremo, ma vanno difese. Altrove di Servizio sanitario pubblico non si parla proprio: negli Usa ci provò Obama, e poté fare poco, avversato anche da una parte del suo Partito democratico. Queste conquiste si sono realizzate perché popoli e governi europei, nei secoli, hanno saputo trasferire sul piano politico quella che era stata un’impostazione culturale permeata dalle tradizioni giudaica e cristiana, nelle varie declinazioni, e in mezzo, anche, alle contraddizioni. Lo fecero compromettendosi con un certo senso di superiorità eurocentrica che aveva portato a storture coloniali di lunghissima durata. Non era estraneo a questa cultura l’Umanesimo più laico.

 

Ancora, ci viene ricordato che «… la guerra dei nostri antenati europei non è stato solo il dominio della forza, è stato anche il luogo di genesi del senso». Io credo che questo “senso” sia stato presente in vecchie pagine di storia, nelle quali però c’era anche molto altro (solidarietà, compassione, generosità). Anche se studiamo l’Iliade e l’Eneide (e le riconosciamo fondative di tanta nostra storia), sappiamo fare la tara ai loro aspetti truculenti e che oggi appaiono poco rispettosi della nostra umanità. Non c’è bisogno del romanzo «pacifista», come viene definito, per rinunciare allo spirito guerresco. I libri di Mario Rigoni Stern non sono libri pacifisti: il più celebre, Il sergente nella neve, narra semplicemente, senza troppi commenti, l’assurdità di quanto succedeva in trincea e nella grande ritirata. Non c’è bisogno di ideologia, basta il racconto. Oggi pochi sono rimasti a raccontare, ma noi possiamo sempre leggere. Dovrebbe bastarci, anche oggi, per respingere un’idea stantia di malinteso eroismo. Ci basta ciò che, al di fuori di questo recente dibattito, continua ad aleggiare sull’Europa nei termini della difesa armata dei confini e della prevaricazione del “maschio valoroso” sul genere femminile.