
Udine. L’eredità della libertà
La commemorazione di Luciano Pradolin, partigiano valdese, e dei suoi compagni trucidati ottant’anni fa
Nel 1933 il teologo protestante Karl Barth iniziò a tenere una serie di conferenze e a scrivere articoli di denuncia contro il regime nazista. Un vero e proprio attacco al nazionalsocialismo e alla Chiesa evangelica tedesca, corresponsabile dell’ascesa di Hitler. Animata dalla tradizione luterana di sottomissione all’autorità stabilita, la chiesa evangelica ufficiale non aveva esitato a indossare la camicia bruna e addirittura al suo interno si formò il movimento dei così detti “Cristiani Tedeschi” la cui dottrina si fondava sulle parole-chiave del nazismo: nazione, razza, führer. Barth comprende il pericolo e si schiera sferrando un attacco anche dai toni violenti contro i “Deutsche Christen” e la chiesa ufficiale, dando così vita a quella che prenderà il nome di “Chiesa confessante”. È convinto che, in attesa del Regno di Dio, la chiesa e il singolo credente debbano svolgere un ruolo anche nella società civile, partecipando agli avvenimenti umani, senza tacere di fronte alle mostruosità del razzismo e sottraendosi alle invocazioni a un Führer, perché l’unica e vera guida è solamente Gesù Cristo.
Anche Luciano Pradolin era un credente e apparteneva alla chiesa evangelica valdese di Tramonti. Era un ragazzo colto e istruito e da tempo si interrogava sul senso della guerra e della vita. Nutriva sentimenti di libertà e di giustizia coltivati anche in seno alla famiglia il cui nonno era un socialista della prima ora. Già da studente aveva manifestato la sua contrarietà al regime fascista alzandosi dal banco durante la lezione, quando un suo professore era stato espulso dalla scuola perché ebreo. Poi aveva abbracciato sempre più le idee antifasciste e convinto che il credente sia chiamato da Dio ad un impegno civile nella società, dopo l’8 settembre 1943, responsabilmente, scelse di diventare un partigiano, sognando la libertà e sperando in un mondo di pace. Assieme al fratello Guglielmo e Armando Facchin, anche loro valdesi, e altri, costituì il “Batt. Val Meduna” delle formazioni Osoppo-Friuli, diventandone il Comandante. Aveva visto i fascisti e i tedeschi deportare e trucidare partigiani e civili e aveva perso gli amici in battaglia, quando nel gennaio del 1945 fu arrestato e l’11 febbraio 1945 condannato a morte e fucilato.
Come i partigiani, credenti e non credenti, ebbero il coraggio di schierarsi contro il male del nazi-fascismo, personificazione dell’inumanità per dirla con Barth, anche noi oggi come allora siamo chiamati a saper distinguere il bene dal male. Ricordare significa rinnovare la conoscenza di ciò che è successo e di ciò che può riaccadere, proprio perché l’uomo dimentica facilmente, come in questo periodo, dove fra saluti fascisti, le ideologie naziste e razziste si stanno riaffermando nel mondo, per non parlare poi, delle disumane e atroci guerre a cui assistiamo. È necessario sviluppare una cultura della pace e della fratellanza, una cultura dell’accoglienza e della convivenza, una cultura del rispetto e della condivisione. Superare le paure del diverso che generano solamente violenza. Rimettere Cristo al centro della nostra vita. I partigiani ci lasciano la grande eredità della libertà, un bene preziosissimo che tutti noi dobbiamo saper custodire e trasmettere alle future generazioni.
Luciano Pradolin nella lettera alla sorella Rina scrive: «Unica cosa che mi sostiene è la fede in Dio e la sicurezza che la mia coscienza è pura e il mio ideale è sacro». E alla mamma: «In realtà mi dispiace lasciare la vita, particolarmente ora che avevo capito il grande significato». Già, perdere, sacrificare la vita, la cosa più cara che abbiamo, per il proprio ideale e la propria fede. Luciano Pradolin fu un esempio di abnegazione cristiana e fedele discepolo di quel Gesù che disse: «Se uno vuole venire dietro a me, rinunzi a se stesso e prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà, ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà».