
Antigiudaismo cristiano, fenomeno da decostruire
Un importante convegno che si tiene a Torino giovedì prossimo
Quello di giovedì 27 febbraio è un appuntamento importante nell’ambito dell’attività dell’Amicizia ebraico-cristiana di Torino: non solo il tema è impegnativo (l’antigiudaismo di matrice cristiana); non solo è “bruciante”; ma il tema è anche impegnativo per il taglio che si è voluto dare all’incontro. Ne parliamo con il presidente Marco Rolando, valdese, neuropsichiatra, già da anni attivo nell’associazione.
– Da tempo i cristiani hanno fatto propria una nuova consapevolezza delle responsabilità delle loro chiese nello sviluppo dell’antigiudaismo: ma che cosa significa “decostruire” questo fenomeno – come recita il titolo dell’incontro?
«Decostruire l’antigiudaismo cristiano significa ripulire le incrostazioni mentali e teologiche, gli stereotipi antigiudaici presenti nella tradizione cristiana fin dal II secolo d.C. A partire dal II secolo la chiesa si considerava il verus Israel con il quale Dio aveva concluso una nuova alleanza. Nel II secolo la chiesa condannò Marcione per aver opposto radicalmente il Dio del Nuovo Testamento a quello dell’Antico. Però allo stesso tempo diversi pensatori cristiani consideravano che l’antica alleanza era diventata superata e che il popolo ebraico era condannato alla dispersione, mentre la chiesa, “nuovo popolo di Dio”, era l’unico beneficiario dell’alleanza e delle promesse. Questa è l’infausta teoria della “sostituzione”, così efficacemente definita da Jules Isaac, padre del dialogo ebraico-cristiano, nel suol libro fondamentale Jésus et Israël (1948) al quale seguiranno Genèse de l’antisémitisme e L’enseignement du mépris. Jules Isaac era uno storico ebreo che aveva perduto la moglie e la figlia ad Auschwitz e che aveva saputo trasformare il proprio dolore in impegno per la riconciliazione tra ebrei e cristiani. Le chiese cristiane, nel secondo dopoguerra hanno intrapreso un’autocritica radicale sulla teoria della sostituzione, denunciata con forza anche nel documento conciliare Nostra Aetate. Il popolo ebraico è tuttora il popolo eletto e amato da Dio che lo ha educato e istruito circa i suoi disegni, stipulando con esso un’alleanza eterna (Genesi 17, 7) e comunicandogli una chiamata che Paolo di Tarso qualifica come irrevocabile (Romani 11, 29)».
– Le chiese protestanti hanno ereditato il peso di affermazioni e teorie contro gli ebrei che oggi sembrano inconcepibili, provenienti da Lutero stesso e da altri Riformatori: con quale consapevolezza l’Amicizia ebraico-cristiana affronta questo retaggio?
«La Riforma puntava a riformare la Chiesa tramite la forza dell’Evangelo e con il ritorno alla traduzione dei testi originali biblici dalle lingue di origine (ebraico e greco). Questo però non fu sufficiente, se non in pochi casi, a dar luogo a un nuovo modo di guardare agli ebrei. I Riformatori operarono all’interno di una tradizione fatta da modelli di pensiero antigiudaici le cui radici risalivano alla chiesa primitiva. L’atteggiamento di Lutero, passato da una iniziale considerazione positiva degli ebrei nel libro Sul fatto che Gesù Cristo era nato ebreo (1523) al libro Sugli ebrei e le loro menzogne (1543), di un antisemitismo virulento e fazioso, costituisce una brutta pagina del fondatore della Riforma (si veda il libro documentatissimo Gli ebrei di Lutero di Thomas Kaufmann, edito da Claudiana nel 2008). Non è un caso che la seconda sessione del Sinodo della Chiesa evangelica in Germania (Ekd) abbia messo al centro, nel 2017, anno del 500° anniversario della Riforma, le colpe e gli errori compiuti dai riformatori e dalle chiese riformate. Dopo il 1945 le chiese riformate avviarono un processo di apprendimento riguardo al loro colpevole fallimento nei confronti dell’ebraismo. Come ha scritto Daniele Garrone: «Non si tratta di rimproverare ai Riformatori di non aver avuto quelle posizioni a cui noi siamo giunti soltanto dopo la dissoluzione del Corpus Christianum, dopo l’Illuminismo e le sue acquisizioni liberali, dopo almeno due secoli di lettura storico critica della Bibbia e, non dimentichiamolo, dopo la Shoah, cioè dopo che chi era stato fatto oggetto di diffamazioni, discriminazioni e persecuzioni, è stato condotto al macello. Si tratta di rivedere il nostro rapporto con quella storia e con la sua eredità».
( Lutero e gli ebrei – Documenti delle chiese tedesche 2014-2015 – Riforma Testi e documenti, 2016)
– L’Amicizia ebraico-cristiana è però anche sede e luogo della ricerca di fraternità. Dal lato umano e delle relazioni, a che punto siamo, a Torino e non solo?
«Le Aec, in Italia, sulla scia de L’Amitié judéo-chrétienne francese, nascono come luogo di conoscenza e amicizia fra ebrei e cristiani: la prima nasce a Firenze nel 1951, seguita da quelle di Roma e Ancona nel 1982; e poi vengono Torino, Liguria, Romagna, Livorno, Alto Garda e Aec giovani. I gruppi che continuano e proseguono questo percorso sono un piccolo movimento trasversale ed eterogeneo rispetto alla vita istituzionale delle rispettive comunità di fede. Gruppi che non hanno mire di potere o di pressione ma che vogliono sviluppare il dialogo e l’amicizia fra ebrei e cristiani delle diverse confessioni. Il nome della rivista dell’Aec, Avinu – che significa Padre Nostro – è simbolico perché è un’espressione che ricorre nelle liturgie della comunità ebraica e delle comunità cristiane. “Avinu” è un concetto teologico comune a ebrei e cristiani e comune alle liturgie di entrambe le comunità. Pensiamo al rapporto del Padre Nostro con le preghiere ebraiche (Hamidah, Shemà, Kaddish). A Torino, storicamente, vi è dagli anni ’80 un’amicizia ebraico cristiana molto vivace e presente che oltre a un ciclo biblico di lettura a due voci e a un ciclo storico dà vita a parecchie iniziative culturali che rafforzano l’amicizia e la conoscenza fra ebrei e cristiani. Questa tradizione pluralista torinese è stata storicamente rafforzata dai rapporti di amicizia di cristiani di diversa confessione (cattolici, valdesi, battisti) con la comunità ebraica e ha origine nelle Patenti di libertà concesse a valdesi ed ebrei nel 1848 da Carlo Alberto, in epoca risorgimentale, e dalla collaborazione nella Resistenza al nazifascismo».
L’incontro «Decostruire l’antigiudaismo cristiano» si tiene giovedì 27 febbraio alle 17,30 nel Salone della chiesa valdese di Torino (c.so VittorioEmanuele II, 23). Al saluto del pastore della chiesa valdese di Torino Francesco Sciotto seguono gli interventi di Derio Olivero, vescovo di Pinerolo, presidente della Comm.ne episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei; rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano e presidente dell’Assemblea rabbinica italiana; Daniele Garrone, docente di Antico testamento alla Facoltà vadese di Teologia, e Claudia Milani, docente di Introduzione all’ebraismo alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. Modera Marco Rolando, presidente della Aec Torino.