Magistratura, dove vai? Bouchard: «pensare ad altre forme di giustizia»

Intervista all’ex magistrato e oggi presidente della Rete Dafne Italia per l’assistenza alle vittime di reato

Nuovi assetti nell’Associazione Nazionale Magistrati, caso Almasri, fumate nere sulle nomine dei giudici di Corte Costituzionale di nomina parlamentare, tribunali in crisi. Sullo stato di salute della magistratura e della giustizia in Italia abbiamo interpellato Marco Bouchard e gli abbiamo posto alcune domande. Ex magistrato, presidente della Rete Dafne Italia per l’assistenza alle vittime di reato, Bouchard è stato “audito” dalla Commissione affari costituzionali per l’inserimento della tutela delle vittime in Costituzione.

 

L’Associazione Nazionale Magistrati sta vivendo un cambio di orientamento politico. Cosa ci può dire sull’equilibrio interno della magistratura e sul rapporto con gli altri poteri dello Stato?

«È in atto uno scontro perché l’attuale Governo pretende che le decisioni della magistratura rispettino le linee politiche espressione della maggioranza degli italiani mentre il compito della giurisdizione è la tutela dei diritti e delle minoranze in particolare. Si può contestare la scelta dell’Associazione dei magistrati di voltare le spalle al Governo come ha fatto all’inaugurazione dell’anno giudiziario ma la posta in gioco è elevatissima. Nuovi assetti e nuove norme nascono sempre da forzature. Il mondo sta cambiando, la Costituzione va tenuta intatta, ma stiamo entrando in uno nuovo paradigma. In questo contesto, reputo assai grave – giusto per fare un esempio – il caso Almasri perché delegittima addirittura la Corte Penale Internazionale.

 

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Secondo la Corte d’appello di Roma, chiamata a convalidare l’arresto di Almasri, il Ministro della giustizia avrebbe dovuto richiedere l’esecuzione del mandato di cattura internazionale e non lo ha fatto. Almasri è stato espulso dal Ministro dell’interno per ragioni di sicurezza nazionale inesistenti e inviato in Libia per perseverare nei crimini contro l’umanità che la Corte internazionale gli contesta. È evidente, invece, l’interesse del nostro Governo di garantire, con quella mossa, la politica libica del terrore verso i migranti per impedirne l’arrivo sul nostro suolo».

 

Quali strumenti e garanzie esistono per assicurare l’imparzialità della Corte Costituzionale, soprattutto nei casi in cui ci si trovi a giudicare una causa in cui un componente ha già rappresentato una specifica parte? Fra i nomi dei 4 nuovi giudici costituzionali che devono essere nominati, ad esempio, appare un avvocato difensore di ITA Airways nel procedimento davanti alla Corte Costituzionale (contenzioso con i lavoratori Alitalia non riassorbiti dalla nuova compagnia). E il Parlamento non riesce a decidere.

 

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«Se un giudice costituzionale ha un interesse nella causa dovrà astenersi e non potrà comporre il collegio – di almeno 11 membri – chiamato a decidere la questione. Devo dire che anche la faticosa elezione dei giudici della Corte costituzionale dimostra una tendenza molto vistosa sul rapporto nuovo che si sta stabilendo tra la magistratura e gli altri poteri dello Stato. 

Ricordiamo che la Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature.

I membri in scadenza sono tutti di nomina parlamentare. Non è una novità che le nomine siano sempre frutto di accordi politici anche nel tentativo di mantenere un equilibrio tra le forze in campo. La novità è che questa volta prevale la logica della maggioranza assoluta rispetto a quella di una rappresentanza equilibrata delle diverse appartenenze».

 

Come si sta evolvendo il dibattito sulla separazione delle carriere dei magistrati? Quali potrebbero essere le conseguenze di una riforma in questo senso sull’indipendenza della magistratura?

«Mai prima di oggi le massime cariche politiche italiane si sono espresse per pretendere dalla magistratura un allineamento al pensiero della maggioranza dei votanti in coerenza con l’idea di una magistratura a servizio di una democrazia “delle leggi della maggioranza”. È una prospettiva anacronistica perché il giudice oggi è chiamato ad applicare le leggi innanzitutto alla luce dei principi costituzionali e delle direttive europee così come interpretate dalla Corte di giustizia dell’Unione. Purtroppo, questo governo si scaglia contro la magistratura per il solo fatto che disapplica degli atti amministrativi di un Ministro, anche quando sono palesemente illegittimi.

Ho seguito molto il dibattito sullo sciopero dei magistrati, che ha visto una mobilitazione anche molto compatta e le correnti unite. La sensazione è che siano in gioco autonomia e indipendenza, ma questa maggioranza ha una base elettorale che non vede di buon occhio la categoria. Siamo di fronte a una svolta evidente, ma non so fino a che punto si giochi sulla separazione delle carriere, quanto su altre forme di rapporto fra magistratura e politica.

Continuo a pensare che l’unico motivo per separare le carriere sia quello di avere un pubblico ministero più vicino al governo, dal quale arrivano le notizie di reato (tramite le forze dell’ordine che dipendono dai ministri). Un rischio obiettivo c’è, aldilà delle disfunzioni tecnico-organizzative, con due Consigli superiori e due sistemi, ma il problema è che questo modello culturale sembra inevitabile».

 

Siamo di fronte a una inesorabile deriva? 

«Iniziamo a vedere in faccia la realtà, senza pensare al passato e alle aspettative deluse. Sono rimasto colpito quando Ursula von der Leyen ha costituito la sua squadra e la scelta del responsabile Commissario per la Democrazia, la Giustizia e lo Stato di diritto sia ricaduta su un esponente irlandese sconosciuto, Michael McGrath. Mi pare abbastanza evidente che sia per l’Europa un dicastero poco interessante, basti pensare a come viene gestito il fenomeno migratorio».

 

Von der Leyen svela il nuovo Collegio dei commissari. Sei vicepresidenze esecutive, a Fitto Riforme e coesione – Eunews

 

In un contesto in cui si percepisce una crescente crisi della giustizia, quali potrebbero essere le leve per rafforzare l’autonomia e l’autorevolezza del sistema giudiziario? Che ruolo possono avere la società civile, i media e l’opinione pubblica nel garantire un controllo democratico sulla giustizia e nel prevenire derive che mettano a rischio l’equilibrio dei poteri?

«Il ruolo della giustizia è ormai periferico. Questo comporterà dei cambiamenti. Quale magistratura ci sarà? Con che funzioni? È difficile intravedere l’orizzonte. La giustizia di tutti i giorni è indecorosa. Vediamo deserti nei tribunali civili, come nei tribunali penali. Siamo di fronte non tanto e non solo all’umiliazione, ma allo sconvolgimento di un sistema. 

Mi sto occupando di giustizia riparativa e di vittime, temi che rischiano di essere astorici. A questo proposito, sto leggendo il libro del giurista francese Antoine Garapon, frutto del suo lavoro indipendente su abusi commessi in ambito religioso in Francia.

 

Pour une autre justice d’Antoine Garapon : une nouvelle théorie de la justice pour répondre aux attentes contemporaines | PUF

 

Non ordinariamente, ma hanno fatto giustizia: incontrando le vittime, dando loro la parola. In Italia questo non succede, ma forse dobbiamo pensare ad altre forme di giustizia. Nella Costituzione c’è il concetto di tutela delle vittime, l’ho sempre ricordato, nel mio lavoro e in audizione in Commissione affari costituzionali. Qualcosa si muove. È importante che ci si muova nella direzione della giustizia a tutti i livelli».