Furio Colombo e la Giornata della Memoria
La Giornata del 27 gennaio ha alle sue spalle il lavorio e la tenacia del giornalista, che continuò a interrogare la politica sui temi del nazifascismo e della sofferenza in varie forme inflitta ad altre persone
Terminava il secolo breve, iniziava il secondo millennio e il primo scambio con Furio Colombo fu attraverso un fax. Oggi, i fax sono fossili del passato. Io collaboravo con Aldo Rosselli che aveva pensato che dovessi smettere di: «stare a fare il Buddha» (parole sue) e che dovevo fare di più per gli altri, e mi volle come collaboratore nella redazione della rivista da lui diretta: Inchiostri. Il problema era la malattia che affliggeva Aldo e che spesso lo costringeva a interrompere tutto senza delegare ad altri. La rivista aveva articoli dei più interessanti e noti intellettuali nazionali e internazionali e rischiava di non uscire. Scrissi a Furio Colombo (uno dei garanti della rivista) un fax a l’Unità, da lui diretta in quegli anni. Furio rispose, dicendo che c’era poco da fare e che avremmo dovuto aspettare che Aldo si fosse ristabilito. Apprezzai la sua risposta e la considerazione che aveva della sofferenza.
Incontrai anni dopo Furio alla proiezione di un film, al Teatro Vittoria, di testimonianze italiane sulla Shoah, fra le intervistate c’era anche mia madre. Rimasi sorpreso, perché non si dava rilievo alla presenza di Furio. Mi dissi che qualcosa non andava. Non si poteva dimenticare un intellettuale come Furio Colombo (una volta che scrissi F. Colombo mi fece notare che Furio Colombo era un logo!) e per di più in relazione alla Shoah! Fu il promotore della legge che nel 2000 istituì il Giorno della Memoria!
Da quel momento iniziammo a frequentarci per redigere Il paradosso del Giorno della Memoria, Mimesis edizioni. Da allora non abbiamo più smesso di vederci. Ci chiamavamo ogni giorno, discutendo di ciò che accadeva in Italia e nel mondo, riflessioni sulla vita in generale e sulla nostra quotidianità, senza trascurare il menù per cena. Negli ultimi tempi, Furio aveva ridotto le uscite, e io spostandomi a piedi per le strade di Roma, avevo modo di raccontargli ciò vedevo. Intravedeva, attraverso il mio essere un flâneur particolare, quella parte di mondo che gli mancava. E dire che, il mondo lui l’aveva visto da tante latitudini e con tanti personaggi, tanto che a volte la sua vita è apparsa come una vita impossibile da rifare. E come amava il mio punto di vista sulle cose, io avevo necessità del suo.
Sulla memoria siamo sempre andati d’accordo. E non si riflette abbastanza che, se oggi la memoria della Shoah è entrata nelle nostre coscienze, questo si deve a Furio Colombo, che per primo mise la firma su quella legge che istituì il “Giorno della Memoria”. Una giornata che, partita dall’Italia, sarebbe diventata un giorno internazionale di memoria!
Non oso pensare a che cosa sarebbero, oggi, la memoria e la storia senza quel giorno del 27 gennaio che, radicato in noi tutti e anche nei nazifascisti, ci racconta ciò che il nazifascismo fu. Perché la memoria serve per chi non è nazifascista, ma serve anche ai nazifascisti per ricordare le loro responsabilità, per ricordare loro chi sono e che cosa vogliono, così che le scelte che sono davanti a ogni essere umano siano ben chiare. Furio Colombo non amava quei giovani che all’epoca, allorché giovani, scelsero di proseguire con la Repubblica di Salò. E questo dovrebbe essere un monito anche per le giovani generazioni di oggi. Che non fosse ricordato, come il primo firmatario della legge sul Giorno della Memoria, era il suo cruccio, si doleva del misconoscimento della Sinistra e del mondo israelita. Anche il rapporto della Sinistra contro Israele era per lui irragionevole.
Di eventi di cui dolersi per Furio, c’era la Destra, imperante quando era nato e risorgente nel mondo alla sua morte. Una Destra che non riusciva a spiegarsi, specialmente quella americana che ribaltava completamente l’America che aveva vissuto e amato. Non capiva, allora e oggi, come si possa essere indifferenti alla sofferenza altrui. Non ne capiva le ragioni psicologiche e antropologiche, oppure pur ammettendo gli istinti, non riusciva a farsene una ragione, per questo li combatteva politicamente. Ed era questo il suo lato appassionato che, ancora in età avanzata, sconvolgeva tutti per la veemenza e la lucidità delle argomentazioni.
Da quando è stato sepolto mi accade come le persone care che sono scomparse, lo sento ancora presente, mi dico durante il giorno: devo chiamare o aspetto la sua telefonata… forse, è da qui che inizia, la memoria.
Vittorio Pavoncello è regista, artista, autore; dirige la collana “stati generali della memoria” della casa editrice All Around, per la quale ha pubblicato il libri Antisraelitismo /2024)