Scrivere il futuro: il ruolo delle giovani generazioni e delle comunità educanti
Il Convegno nazionale organizzato a Catania dai Servizi Inclusione della Diaconia valdese
Troppo spesso ci avviciniamo al mondo giovanile con uno sguardo da replicanti morituri di Blade Runner, pronunciando un nostalgico «Ho visto cose che voi umani…». Questo atteggiamento, carico di distanza generazionale, dipinge i giovani come alieni di un altro sistema solare, distanti dalla nostra esperienza. Li etichettiamo con frasi stereotipate: “Sono tutti sofferenti”, “Dipendono dai social”, “Sono individualisti”, “Sono depressi”.
Una litania non solo inutile, ma spesso inesatta. È attorno alla necessità di cambiare questa prospettiva che si è sviluppato il Convegno nazionale dei Servizi Inclusione della Csd – Diaconia valdese, tenutosi quest’anno a Catania, città complessa e vivace. Tra le realtà coinvolte, sono state presentate le collaborazioni con Save The Children (Progetto Civico 0) e Trame di Quartiere (Community Center), e i servizi svolti in sinergia con la chiesa valdese di Catania, impegnata in attività di integrazione sociale nel quartiere di San Cristoforo.
Il titolo del convegno, «Scrivere il futuro», non è stato solo uno slogan, ma il filo conduttore della riflessione: non si può guardare avanti senza radicarsi nel passato. Come ha ricordato Daniele Massa, presidente della Csd, la tradizione delle chiese valdesi, da sempre vicine a realtà marginali e stigmatizzate, le ha rese promotrici, nel corso dei secoli, di percorsi educativi innovativi e inclusivi. Sara De Carli, giornalista del mensile Vita, ha lanciato una provocazione fondamentale: smettiamo di descrivere i giovani come vittime. Non basta lasciare loro spazio, bisogna dar loro le chiavi della stanza, un gesto che supera la metafora per diventare concreto. I giovani, ha sottolineato, non sono solo il futuro, ma già il presente. Se molti di loro faticano a raggiungere una vita adulta – casa, lavoro e famiglia – è perché la società non ha creato le condizioni per accompagnarli in questo percorso. A supporto di queste idee, la giornalista ha offerto una serie di strumenti pratici, progetti concreti e analisi utili per gli operatori del settore, per evitare che il cambiamento debba sempre ripartire da zero.
Sulla stessa linea il professor Salvatore Patera, critico rispetto all’approccio ancora troppo top-down, che vede l’educazione demandata a istituzioni che la interpretano prevalentemente come valutazione e contenimento, anziché come costruzione partecipata e comunitaria. Anche lui, come Sara De Carli, ha ribadito che la partecipazione implica uno spostamento di centri di potere: non basta coinvolgere i giovani con strumenti posticci, come parlamentini scolastici o consigli comunali per ragazzi, ma bisogna lasciare spazio decisionale: è necessario un cambio radicale, che richiede alle generazioni al potere di fare un passo indietro, cedendo risorse, responsabilità e cittadinanza attiva ai giovani.
Non poteva mancare, in un convegno tenutosi a Catania, un’analisi sulla presenza delle organizzazioni mafiose e sull’impatto culturale e sociale che esercitano sulle nuove generazioni. L’interconnessione globale, rappresentata dai social media, non basta a emanciparsi da una cultura violenta e chiusa come quella mafiosa. La risposta educativa deve quindi essere locale, ma con uno sguardo ampio, capace di costruire alternative che partano dalla comunità. Il convegno ha rappresentato un’occasione preziosa non solo per la formazione degli operatori, ma anche per testimoniare il ruolo della Diaconia valdese in territori complessi come quello catanese. Qui, dove la sfida educativa si intreccia con il riscatto sociale, emerge l’urgenza di costruire nuovi modelli che non solo includano i giovani, ma che li mettano realmente al centro. “Scrivere il futuro” non è solo un obiettivo, ma una responsabilità collettiva.