I cristiani che ancora non siamo

A 1700 anni dal “Credo di Nicea”, le chiese che invitano alla Settimana di preghiera per l’unità sono diventate più numerose

 

Sta per cominciare la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Ormai una ricorrenza fissa, un appuntamento rinnovato. Delle ricorrenze ha tutte le qualità e i limiti; qualità e limiti vanno insieme. Come protestanti non possiamo non osservare che quest’anno la Settimana è vissuta in ambito cattolico nel quadro di un proclamato anno santo che per quanto interpretato come occasione di rinnovamento spirituale e alimentato da riferimenti biblici è pur sempre legato alla concessione di indulgenze e accentua il ruolo di mediazione della chiesa di Roma. D’altro lato, però, e nonostante tutto, ci ritroveremo insieme, per guardare oltre e in alto, non per osservare i cristiani che siamo, ma per chiedere di diventare i cristiani che ancora non siamo. 

 

Come di consueto, le modalità varieranno a seconda dei luoghi e dei contesti. Non può che essere così, in un paese in cui i cristiani di confessione diversa da quella che resta maggioritaria, nonostante l’elevatissima secolarizzazione, sono poco meno di un milione, e questo grazie ai numerosi ortodossi che sono oggi la seconda confessione cristiana del paese. In qualche caso, gli eventi della Settimana saranno stati preparati congiuntamente da “Consigli di chiese cristiane” o da reti ecumeniche attive. In alcuni casi ci saranno scambi di pulpiti e, in qualche contesto, la Settimana è solo una delle occasioni annuali di incontro, perché protestanti, evangelici, ortodossi e cattolici hanno consolidate abitudini di preghiera e riflessioni comuni lungo tutto l’arco dell’anno. Verrà tra poco presentata una traduzione letteraria ecumenica del Nuovo Testamento e una volta di più si verificherà come la lettura e lo studio della Bibbia siano il terreno più arato e più fecondo, forse più arato perché più fecondo.

 

Quest’anno ci saranno alcune particolarità, che vorrei qui brevemente segnalare. L’invito alla Settimana, che da molti anni, direi tradizionalmente, portava la firma di un vescovo cattolico, di un metropolita ortodosso e del presidente della Fcei, è rivolto quest’anno dai rappresentanti di un gran numero di chiese cristiane, credo la più ampia confluenza che abbiamo mai registrato: cattolici, ortodossi, anglicani, armeni, copti, protestanti, evangelici… Questa iniziativa è scaturita nella seconda “Conversazione spirituale tra Chiese cristiane in Italia” promossa dalla Conferenza episcopale italiana. Mi sembra, questo, un ulteriore significativo passo nella direzione di un cammino ecumenico imboccato decidendo insieme se si fa qualcosa, che cosa si fa e come lo si fa. 

 

Nello stesso contesto, si è deciso di avere (a Napoli, il 21 gennaio) un incontro ecumenico nazionale, la cui preparazione ha visto il coinvolgimento di un gran numero di confessioni cristiane presenti nella città, tra cui tutte le nostre. Piccoli segni, e pur tuttavia sempre segni, del fatto che l’ecumenismo non è una attività settoriale specialistica, prerogativa di pochi interessati e talora appassionati, ma una dimensione del cercare di essere cristiani oggi.

 

Il 2025 è anche l’anniversario della formulazione del Credo di Nicea (325, millesettecento anni) che è tra i testi in cui tutte le nostre famiglie confessionali ravvisano una compiuta e condivisa espressione della fede cristiana. L’anniversario – di per sé un fatto “esteriore” – ci ricorda però un fatto essenziale: la fede condivisa nell’unico Signore non è il punto di arrivo dei nostri buoni propositi di accettarci, di accordarci, di riconoscerci, di accordarci – come se la comunione delle chiese fosse un’opera di diplomazia ecclesiale – ma il fondamento e il criterio della parola e dell’azione delle chiese, tutte chiamate a ricevere e testimoniare l’amore di Dio in Cristo.

 

Come di consueto, in cima alla Settimana c’è una parola biblica, questa volta la domanda che Gesù rivolge a Marta nel racconto della resurrezione di Lazzaro: «Credi tu questo?» (Giovanni 11, 26). Ecco la vera sfida di quest’anno: mettere al centro del nostro incontro la fede, in un tempo in cui sembra che sempre di più il discorso dei cristiani si riduca a etica, all’invito a cercare di essere più buoni, a interrogarci su “che cosa possiamo fare” perché in realtà sfuggiamo alla sfida di scoprire e dire ciò che Dio ha fatto e fa per il mondo e per noi. Buona Settimana.