Antonio Banfo, una storia evangelica
Bomba carta a Torino davanti al circolo che ricorda l’operaio ucciso dai fascisti nel 1945 insieme al genero. Una vicenda di fede e impegno politico
Venerdì 11 gennaio una rudimentale ma potente bomba carta è esplosa a Torino davanti al Circolo Arci “Antonio Banfo” di via Cervino, da decenni luogo di aggregazione, prima politico e sociale, e ora importante punto di integrazione ad esempio attraverso i corsi di italiano per bambine e bambini stranieri del quartiere di Barriera di Milano.
Sono state divelte porte e inferriate ma il bilancio poteva essere ben più grave, se qualcuno si fosse trovato a transitare sul marciapiedi proprio negli istanti dello scoppio.
Un episodio gravissimo, prontamente condannato dalla politica e a cui ha reagito con estrema serietà la popolazione torinese che ha immediatamente mostrato la solidarietà necessaria attraverso presidi e raccolte fondi.
Ancora un attacco a un circolo o a una sede che testimonia la memoria di un martire della libertà, di un combattente della Resistenza.
Quella di Antonio Banfo è una storia di Resistenza, ed è anche una storia evangelica, come ha raccontato fra gli altri la nipote Emmanuela, giornalista, predicatrice e diacona della Chiesa battista di Torino-Lucento, nel libro “Antonio Banfo. L’operaio con la Bibbia in mano” edito dalla Claudiana Editrice. «Dalla conversione tutta la sua azione politica sarà guidata dalla fede evangelica, una fede impegnata che diventa motore dei suo operato» ci ricorda Emmanuela Banfo.
Operaio della Fiat Grandi Motori, a trent’anni Antonio Banfo scopre la fede evangelica e diventa membro della chiesa dei Fratelli: fino alla morte avrà la Bibbia in mano. Fortemente sindacalizzato, tratta con la Fiat, infonde nei compagni di lavoro il senso della loro dignità e dei loro diritti. Fin dal 1921 è inoltre membro del Partito comunista – diventato clandestino dal 1926 –, militanza che gli causa un anno e mezzo di prigione ma gli permette di diventare dirigente delle Sap (Squadre di azione patriottica), che saranno l’anima della Resistenza nelle fabbriche. Barbaramente fucilato assieme al genero, Salvatore Melis, a una settimana dal 25 aprile 1945, Banfo rimane un simbolo di ciò che può essere una fede cristiana aperta ai problemi del tempo presente.
Ferruccio Iebole della chiesa dei fratelli di Finale Ligure (Sv) così ricostruiva le ultime ore di vita di Banfo e Melis: «Purtroppo il 1945 con il suo carico di odio e morte era alle soglie: il 18 Aprile ormai al traguardo della liberazione fu un giorno tragico per il nostro Banfo e il suo amato genero Melis Salvatore, marito della figlia Angiolina.
La mattina c’era stato uno sciopero generale, gli operai incrociarono le braccia; arrivarono i fascisti circondarono lo stabilimento e chiesero con asprezza la ragione di un simile comportamento.
Tutti zitti, solo Banfo si espose avanzando e con franchezza, per nulla spaventato dalla minacciosa presenza dei fascisti in armi, prese la parola come quando predicava: con pacatezza ma non intimorito, disse dell’orrore di scoprire al mattino compagni di lavoro trucidati e abbandonati per le strade, uccisi con l’accusa di essere partigiani mentre invece si recavano al lavoro, parlò chiedendo la fine delle rappresaglie sugli inermi e la fine della guerra. Gli si avvicinò il comandante fascista che stringendogli la mano, ambiguamente gli disse che lui non avrebbe più visto morti, a patto però che lo sciopero finisse.
Quella frase ambigua poteva significare la fine delle rappresaglie, ma anche la più probabile fine di Banfo.
Alla sera, dopo il turno di lavoro, il fratello Banfo scese a passeggio nella via con il figlio più piccolo, Davide di tre anni, in compagnia del genero Salvatore e del nipotino Giovanni di due anni; tutto sembrava calmo. Dopo la passeggiata si erano ritirati in casa. All’improvviso l’irruzione dei fascisti! Banfo cercò scampo da una porta secondaria, il genero Melis incurante della sua vita lo seguì sapendo il pericolo che incombeva, l’unica arma che Banfo raccolse fu la sua inseparabile Bibbia.
Poi la tragedia. Ci furono l’arresto, le percosse e l’assassinio: infatti, a pochi metri di distanza dalla casa di Via Scarlatti, i nostri fratelli in Corso Novara furono falciati dal crepitio dei mitra.
Nell’abitazione di Banfo piombò il dolore, l’angoscia, lo smarrimento, i figli tramutati in orfani, le spose in vedove.
La prospettiva dell’insicurezza in tempi e situazioni così difficili si fece pressante».
Antonio Banfo era nato a Torino il 22 febbraio 1900 e si era sposato con Emilia Revelchione.
Attivista comunista era stato condannato alla prigione dal tribunale speciale nel 1932. Fu avvicinato all’Evangelo da un trattato distribuito da credenti dell’assemblea dei fratelli di Via Scarlatti a Torino.
«In poco tempo la sua vita fu trasformata – scrive ancora Iebole – ; l’obiettivo per cui lottava fu spostato: ora la cosa più importante era testimoniare della nuova nascita, dell’Evangelo, della libertà in Cristo che gli uomini non potevano togliere o dare, e parlare della nuova fratellanza basata “sul pari consentimento” che il partito non gli aveva potuto comunicare.
Come molti autodidatti semplici, ma fermi nella sana dottrina, cercò il costante approfondimento scritturale e, dopo il battesimo avvenuto “nel settembre 1936”, esercitò il dono che il Signore gli aveva assegnato, come raccontato nella parabola dei talenti. Questi “talenti” lo rendevano molto attivo, come si evince dalle testimonianze pubblicate in quegli anni sulle pagine de “Il Cristiano”».
Fotografia di Sergio D’Orsi