Eugenio Borgna, curare con le parole

È morto a 94 anni lo psichiatra e saggista

 

Pochi anni prima della pandemia, dopo una mattinata di corso di aggiornamento organizzata dall’Ordine dei giornalisti, Eugenio Borgna mi accompagnava verso la stazione ferroviaria di Novara; si parlava delle cose dette (il tema era: “come la stampa narra la malattia mentale”), di libri, di cose valdesi alle quali era interessato in seguito a un’intervista di alcuni anni prima1. D’altra parte aveva seguito anche le trasmissioni con Paolo Ricca ospite di Uomini e profeti. Ma in pieno centro, lo fermò una signora sui cinquant’anni, a cui Borgna chiese come stava. Per un po’ lei raccontò qualcosa, io in disparte facevo una mia telefonata, e poi prese a piangere. Lui la rassicurò e le disse di cercarlo senza farsi scrupoli. Era già più vicino ai 90 che non agli 80 anni. Ma – mi spiegò pochi secondi e pochi metri più in là – alcuni pazienti li seguo ancora.

 

Ecco, la vita di Eugenio Borgna, scomparso ieri dopo aver dato alle stampe un ultimo libro un mese fa, conosciuto da un grande pubblico per i suoi moltissimi libri, è sempre stata caratterizzata da una missione ancora più importante della scrittura, che era quella di curare – e in fondo anche i suoi libri hanno avuto un ruolo importante nell’esistenza di molte persone. Nato nel 1930 a Borgomanero (NO), sfollato con la madre, fratelli e sorelle intorno al Lago d’Orta all’epoca della Resistenza, studiò poi Medicina per laurearsi a metà degli anni ’50 e avviarsi a una possibile carriera universitaria, essendosi specializzato in psichiatria e dedicandosi alla clinica delle malattie nervose e mentali, al cui insegnamento si dedicò a Milano. Ma intanto era la vita di ospedale quella che più lo coinvolgeva, e che caratterizzerà il suo impegno fino al ruolo di direzione del reparto della psichiatria femminile dell’Ospedale Maggiore di Novara. Una visione nuova, diversa, della cura psichiatrica, che porterà Borgna, cattolico di formazione e praticante, a lavorare parallelamente a Franco Basaglia, che arrivava da un’altra impostazione, molto più politica: così l’Italia poté arrivare alla legge che nel 1978 decretò la chiusura dei manicomi.

 

L’impostazione di Borgna era quella di tipo fenomenologico, strettamente legata alla pratica filosofica (essenzialmente di area tedesca e svizzera, a partire da Edmund Husserl e Karl Jaspers per arrivare a Ludwig Binswanger) e basata sulla ricerca di un’adesione basata sul racconto di sé, la più completa possibile fra il medico e il suo paziente. Si trattava, come egli stesso ha raccontato in molte pagine e anche nell’autobiografia Il fiume della vita. Una storia interiore (Feltrinelli, 2020), di scavare nella propria interiorità, accettandone i limiti e le fragilità, per poter cogliere quelle dell’altro o dell’altra e, se necessario in presenza di uno stato patologico, venirgli in soccorso.

 

Un approccio che richiede molto studio, molte letture, un prolungato scavo del proprio essere interiore ma anche dei libri: quelli specifici, ma anche quelli di filosofia, narrativa, poesia, con una netta prevalenza nell’area di lingua germanica e con un particolare affetto per il Romanticismo tedesco, sottratto finalmente alla diatriba da stadio Illuminismo/Romanticismo, ma colto nella profondità delle suggestioni e dei sentimenti, da Clemens Brentano in poi, per arrivare ad autori amatissimi come Rilke, Hölderlin, Hofmannsthal. Altri riferimenti però, Borgna li trovava in Emily Dickinson, nelle sorelle Brontë, in Cristina Campo e Antonia Pozzi, nei diari e lettere di Etty Hillesum e nella letteratura mistica di santa Teresa d’Avila e santa Teresa di Lisieux come nell’amatissimo sant’Agostino, le cui Confessioni (forse il primo grande testo di narrativa autobiografica) percorrono molte sue opere. Non mancano tuttavia, nei suoi libri, i riferimenti a Kierkegaard, a Dietrich Bonhoeffer, come anche ai film del cattolico Robert Bresson e del protestante Ingmar Bergman. Il tutto per rendere consapevole chi legge della ricchezza delle emozioni che abbiamo a disposizione; della benedizione che è il nostro essere, anche quando le sue giornate sono poste nel segno della sofferenza.

 

La grande onestà intellettuale del professor Borgna lo ha portato a rendere manifesta la grande distinzione, che si vede anche solo scorrendo la sua nutritissima bibliografia. Da un lato, cioè, i libri a carattere accademico e specialistico (I conflitti del conoscere. Struttura del sapere ed esperienza della follia, Feltrinelli, 1988; Come se finisse il mondo. Il senso dell’esperienza schizofrenica, 1995 e altri); e d’altro lato i testi che si rivolgono a un pubblico più ampio, spesso appassionato agli autori e autrici che in quelle pagine ricorrono e si rincorrono, come dice l’autore, fra riverberi, risonanze, illuminazioni. L’arcipelago delle emozioni (2001), Come in uno specchio oscuramente (2007, titolo biblico) e molti altri concorrono a stabilire quella “comunità di destino” – concetto a lui caro – che si viene a creare in ogni forma di interazione umana; tra chi scrive e chi legge, ma in particolare di fronte alla sofferenza. Anche a tarda età. Chi è medico, lo è per sempre, anche quando parla di poesia e della bellezza del mondo.

 

  1. S. Baral – A. Corsani, Di’ al tuo prossimo che non è solo (con un’intervista a Eugenio Borgna), Claudiana, 2013.