Esotici fuori luogo
La serie degli articoli finalisti del Premio Morrione si conclude con le vincitrici del Premio Laganà, un lavoro sul mercato degli animali la cui circolazione dovrebbe essere controllata
C’è chi colleziona serpenti rari, chi alleva oltre duemila ragni in una stanza del proprio appartamento e c’è chi tiene puzzole e suricati come animali da compagnia. Un fenomeno in netta crescita quello del commercio di specie esotiche, come dimostrano i numeri impressionanti: sono cinquecento milioni gli animali non convenzionali in Europa e tre milioni quelli importati e censiti ogni anno in Italia secondo le stime del ministero della Salute. Il legame tra l’essere umano e gli altri animali non è certo una novità: affonda le proprie radici in simboli e miti che nei secoli hanno plasmato la nostra comprensione del mondo. Se però il sodalizio con alcune specie, come il cane o il gatto, è una millenaria storia di addomesticamento e co-evoluzione, quella dei pet esotici è un trend decisamente più recente, che implica sfide e criticità del tutto nuove.
Abbiamo cercato di raccontare questo fenomeno in espansione, partendo dalle teche e dalle voliere allestite nei salotti di casa. Le voci di alcuni esperti, come Ilaria Capua (virologa e ricercatrice del Johns Hopkins di Bologna) e David Quammen (reporter del National Geographic e autore del celebre Spillover) ci hanno aiutato a fare luce sui rischi sanitari e sulle conseguenze in termini di benessere animale e conservazione della biodiversità.
La globalizzazione e l’avvento del digitale hanno accelerato la crescita del settore: ciò che tra gli anni ’70 e ’80 era riservato perlopiù a circhi e collezionisti, oggi è accessibile a chiunque grazie a social media e piattaforme di e-commerce. Sotto la patina di apparente legalità, però, proliferano pratiche più o meno illegali. Le lacune e le discrepanze normative lasciano spazio di manovra a un mercato che opera in una zona grigia. In Italia, per esempio, è assolutamente vietato detenere un coccodrillo come animale domestico, mentre in Germania è possibile, purché si ottengano determinate licenze che garantiscono il benessere dell’animale. E se invece si desidera una scimmia – in Italia è illegale detenere qualsiasi tipo di primate – nulla impedisce di accordarsi online con un privato, recarsi in macchina in Polonia o in Repubblica Ceca dove le maglie della legge si allentano notevolmente, e tornare nel nostro Paese senza troppe difficoltà. A essere a rischio non è solo il benessere degli animali. La pandemia da Sars Covid-19, nonostante l’impennata delle vendite durante i lockdown, ha acceso i riflettori sui pericoli connessi al commercio di specie esotiche.
L’Organizzazione mondiale della sanità ha ribadito più volte in questi anni la necessità di chiudere i mercati di animali vivi, diffusi prevalentemente in Asia. Eppure, entro certi limiti e con le dovute differenze, anche le fiere nostrane espongono gli esemplari a un rischio concreto di contrarre malattie: la prossimità tra specie diverse costituisce una delle condizioni che favorisce maggiormente il contagio. Se questo vale per il commercio legale, nel traffico illegale la mancanza di controlli e accortezze minime mette ancora di più a repentaglio la loro e la nostra salute.
L’intento della nuova normativa sul commercio e la detenzione di specie esotiche, come si legge sui documenti ufficiali, è quello di prevenire l’insorgenza di “focolai di zoonosi”. Ma a distanza di due anni dall’entrata in vigore, i decreti attuativi e soprattutto la nuova “lista negativa”, che dovrebbe individuare le specie vietate per la sicurezza e la salute pubblica, non vedono ancora la luce. Nel frattempo, le logiche del mercato e del profitto rischiano di spadroneggiare in un settore che pone questioni cruciali sul piano etico, sanitario e ambientale. Serve una maggiore uniformità legislativa a livello nazionale e internazionale, ma soprattutto un profondo cambiamento culturale e una consapevolezza “attiva” sull’impatto delle nostre scelte. È il momento di uscire dalla zona grigia.
Caterina Tarquini, giornalista e Francesca Sapio, fotografa, insieme sono le vincitrici della prima edizione del Premio “Riccardo Laganà”, (inserito nell’ambito del Premio Morrione) per il giornalismo investigativo under 30 su Biodiversity, Sustainability, Animal Welfare.
Nella foto Caterina Tarquini, Francesca Sapio e Valentina Laganà, sorella di Riccardo