Un cavolfiore per 9 dollari

Intervista alla responsabile delle professioni sanitarie di Emergency Michela Paschetto, appena ritornata da Gaza

 

È in distribuzione in tutto il territorio del pinerolese nell’area sud della provincia di Torino (lo trovate in centinaia di luoghi pubblici, dalle biblioteche ai negozi) il numero di dicembre del mensile free press L’Eco delle valli valdesi che potete leggere integralmente anche dal nostro sito, dalla home page di di www.riforma.it. Qui di seguito l’intervista a Michela Paschetto, di Emergency, appena ritornata da Gaza.

 

Michela Paschetto oggi, dopo anni passati in giro per le zone più critiche del mondo, è diventata responsabile delle professioni sanitarie di Emergency (infermiere, ostetriche, fisioterapisti, tecnici di laboratori etc). Oltre a questo ruolo di coordinamento si reca spesso sul campo, a supervisionare i progetti, sia quelli nascenti come a Gaza, sia quelli già strutturati come a Kabul, in Afganistan. E come in questo ultimo caso, segue anche il processo di formazione del personale locale, per far sì che il passaggio di consegne funzioni nel migliore dei modi perché l’obiettivo ultimo è quello di lasciare in gestione le strutture, come gli ambulatori e gli ospedali. Le sue ultime esperienze sono state in Sudan (dove da aprile 2023 è scoppiata la guerra) e in Ucraina. A metà ottobre è andata per alcune settimane a Gaza per mettere al servizio di Emergency la sua esperienza maturata nei vari teatri di guerra.

 

Emergency è entrata a Gaza, non senza difficoltà, il 15 agosto del 2024. Come sempre l’associazione umanitaria si schiera dalla parte delle persone vittime di conflitti nel nostro martoriato mondo. Non poteva non essere presente nella Striscia di Gaza dove la situazione umanitaria è molto complessa, a un passo dal disastro umanitario. «La guerra in corso ha portato in una zona, quella definita “umanitaria”, un altissimo numero di persone – ci spiega Michela Paschetto, originaria di Prarostino, infermiera da anni impegnata in Emergency e oggi responsabile delle professioni sanitarie all’interno dell’organizzazione –; qui i servizi essenziali sono ridotti al lumicino e il rischio sanitario è altissimo. Le persone vivono prevalentemente in tende, l’acqua è poca e di cattiva qualità, il cibo scarseggia sempre, le fognature non esistono, l’energia elettrica c’è solo grazie ai pannelli solari».

 

Emergency è conosciuta in tutto il mondo per i suoi interventi legati all’ambito della medicina di guerra. A Gaza invece l’obiettivo è un altro. «Il nostro è un intervento di medicina di base. C’è una grave mancanza di questo tipo di assistenza; poche sono le richieste di interventi complessi, mentre gli ospedali sono rimasti pochi e c’è necessità di questo tipo di cure. La nostra idea è stata fin da subito quella di costruire una struttura per sopperire a tale mancanza. Abbiamo atteso più di due mesi e mezzo e ora finalmente i lavori sono partiti, anche se c’è estrema difficoltà a trovare qualunque cosa. In questi mesi ci siamo appoggiati a una Ong esistente che si occupava di violenza di genere che si è per forza di cose convertita ad altri servizi e ci ha chiesto un aiuto. Al contempo teniamo gli occhi aperti attorno per capire quali siano le esigenze della popolazione e quali servizi eventualmente attivare».

 

Michela ha vissuto in molti teatri di guerra in giro per il mondo, dall’Afganista al Sudan, all’Ucraina etc… come hai vissuto questa esperienza nella Striscia? «Fra tutti i luoghi devo dire che questo è stato quello in cui ho trovato le difficoltà maggiori. La zona della Striscia di Gaza è molto ristretta, le pratiche di ingresso hanno procedure molto stringenti e manca tutto (le immagini di colonne di camion con aiuti umanitari bloccate sono sotto gli occhi di tutti). Un esempio: al mercato per settimane si trovavano soltanto patate, cipolle e melanzane. Un giorno ho finalmente acquistato un cavolfiore al prezzo di 9 dollari! Inoltre ora è arrivata anche la stagione invernale e quindi molte persone che vivevano sulla spiaggia si sono spostate nell’area riservata agli aiuti umanitari, sovraffollandola ancora di più. E le tende faticano a sopportare i venti, le piogge e il maltempo. Il conflitto poi fisicamente si sente molto vicino, quotidianamente ci sono bombardamenti e scontri e in alcuni casi ci sono interventi mirati anche nell’area umanitaria, su target considerati militari».

 

A livello sanitario cosa hai trovato, che cosa ti ha colpito maggiormente? «Con tutte le mancanze del caso è “normale” incontrare problemi gastrointestinali, patologie respiratorie e malnutrizione. Questi problemi si evidenziano in un primo momento nei bambini, poi a seguire nelle donne e oggi vediamo i primi segni di malnutrizione degli uomini adulti, come è naturale che sia dopo più di un anno di guerra e di blocchi. Inoltre ci sono problemi cronici trascurati perché mancano le medicine. Aggiungo ancora una cosa sulla pericolosità della Striscia: anche a Kabul, nei mesi prima del ritorno dei talebani era pericoloso girare per la città a causa degli attentati suicidi; qui invece il pericolo è più costante, quotidiano». E a farne le spese, come sempre, è la popolazione civile.