Tenere viva la storia “nel cuore delle persone”

L’impegno di Yehuda Bauer, uno dei massimi storici del Novecento, morto recentemente

 

Il 18 ottobre scorso, all’età di 98 anni, è morto Yehuda Bauer, uno dei massimi storici del Novecento e, in particolare, della Shoah. Bauer ha sempre pensato che non bastasse studiare la storia, bisognava viverla, attraversarla. Ed è ciò che ha fatto per tutta la vita. Nato a Praga il 6 aprile del 1926, nel 1939, con i suoi genitori, si lasciò alle spalle la sua bellissima città. La famiglia Bauer fu una delle poche fortunate a lasciare l’Europa appena in tempo. Destinazione? L’allora Palestina mandataria. Se ne andarono la notte tra il 14 e il 15 marzo di quell’anno, esattamente quando i nazisti occuparono la Boemia e la Moravia. Bauer non aveva compiuto ancora 13 anni. Il mondo stava andando in frantumi. L’ombra inquietante del nazismo si stava allungando in tutta Europa che, ben presto, sarebbe stata lo scenario della morte di milioni di persone e avrebbe conosciuto la terribile pagina della Shoah.

 

Quindi, Bauer, non ha vissuto l’orrore puro dei lager, ma ha capito, ben presto, quello che si stava consumando in Europa. Ciò segnò profondamente la sua vita di uomo e di studioso. Intanto, ancora bambino si misurò con la perdita del suo mondo e  del suo passato e, contemporaneamente, a fare i conti con una terribile realtà che riguardava tutto il suo popolo e il mondo intero. L’impatto con il nuovo mondo, in cui era andato a vivere, non fu semplice. Una lingua da imparare, una società totalmente sconosciuta con cui misurarsi. Eppure, non perse, neppure per un attimo, il senso delle sue radici e della storia. Bauer comprese subito che la storia, quella con la “S” maiuscola e le nostre storie, a maggior ragione, sono fatte, di donne e uomini, di scelte da compiere, drammi personali che si intrecciano con i grandi “eventi”. La storia, ha sempre ripetuto Bauer, non è solo un passato da studiare, ma un presente che deve misurarsi con le nostre responsabilità, di tutti, nessuno escluso, e, soprattutto, deve tenere sempre accesa la fiaccola della memoria di ciò che è successo e metterci nelle condizioni di agire, di incidere sul presente, affinchè si possa costruire un futuro in cui la vita sia vissuta con dignità.

 

La sua scelta di diventare storico nasce proprio così. Studiò in Galles, all’Università di Cardiff, sembrava avviato a una carriera accademica brillante. Ma quando, nel 1948, scoppiò la guerra tra Israele e gli Stati Arabi, fece immediato ritorno in patria per combattere e difendere l’appena nato Stato d’Israele. Ribadisco, per Bauer, fare storia non significa solo perdersi in archivi, accumulare documenti e testimonianze, soprattutto quando si ha a che fare con la Shoah. In ogni caso studiare quel terribile evento significa “innanzitutto comprendere l’anima dell’umanità”. Da questo punto di vista, occorre studiare quella capacità di distruzione di cui siamo capaci. Ma, anche di sapere che si può resistere, combattere per sconfiggerla. Bauer ha, fra l’altro, determinato un significativo cambiamento alle narrazioni che hanno sempre descritto gli ebrei come passivi di fronte agli eventi drammatici della loro storia. Infatti, il grande storico, appena scomparso, non ha mai accettato l’idea che gli ebrei siano andati a morire senza combattere. Anzi, è sempre stato convinto del contrario. Per Bauer, resistenza non  ha mai significato, solo, imbracciare le armi. Anche un piccolo gesto, apparentemente marginale; un atto compiuto per difendere la dignità umana, nei campi di sterminio, soprattutto, significava ribellarsi alla disumanizzazione che i nazisti misero a punto. Quando parlavano di annientamento, intendevano, appunto questo: rendere niente. Gli uomini, le donne, i bambini, gli anziani, i malati, erano niente, meno di niente.

 

Il pensiero di Bauer, le sue ricerche, confluite in oltre 40 libri, divulgate in centinaia di articoli e in un numero incalcolabile di interventi e dibattiti pubblici, conferenze e lezioni universitarie, sempre rigorose e non sempre condivise, hanno alimentato, accompagnato, arricchito il dibattito sullo sterminio degli ebrei, sul negazionismo e sulla sfida di preservare la memoria, per moltissimi anni. E determinato anche dolorose polemiche. Come quelle nate dalla sua difesa di Rudolf Kastner, che fu accusato di aver celato importanti informazioni sugli ebrei ungheresi durante la Shoah. Nota è la vicenda del cosiddetto “treno di Kastner”, un trasporto speciale di 1648 ebrei ungheresi, ai quali le autorità naziste permisero di lasciare Budapest, rifugiarsi in Svizzera, passando per Bergen-Belsen. Ciò fu possibile perché Kastner si accordò con Adolf Eichmann: la vita di quegli ebrei in cambio di soldi. La sua difesa di Kastner si basava sull’idea che la storia, ogni suo singolo episodio, sfumatura, dettaglio, è complessa, e non esiste nessun assoluto bianco o nero. Celebri, poi, le sue posizioni sul negazionismo. Bauer riteneva che negare la Shoah non significava solo offendere le vittime, ma rappresentava un terribile pericolo per l’umanità.

 

Non si può distorcere il passato, negarne i fatti. Il prezzo è una riscrittura della storia che può determinare la possibilità che si possano ripetere quelle drammatiche vicende nell’indifferenza di tutti. Per questo ha lottato con rara tenacia: per tenere viva la memoria, la storia, soprattutto “nel cuore delle persone”. Occorre ricordare che fino all’ultimo, Bauer, non ha mai cessato di riflettere sul presente, profondamente preoccupato per il conflitto israelo-palestinese. Vorrei ricordare che nel 2003, Bauer dichiarò che tale conflitto, senza una soluzione, sarebbe potuto sfociare in qualcosa di terribile.

Foto di Heinrich-Böll-Stiftung Berlin, Deutschland