Ripensare l’insegnamento religioso nella scuola pubblica

I cambiamenti avvenuti nella società negli ultimi decenni autorizzano a immaginare un diverso assetto dell’insegnamento religioso. Un tema rilevante in ambito protestante

 

Laicità e pluralismo nella scuola pubblica sono temi di impegno storico del protestantesimo italiano. Oltre trent’anni di battaglie, dialogo e confronto per l’affermazione del pluralismo e del rispetto dei diritti fondamentali di tutte le sensibilità, religiose e non, entro le mura scolastiche costituiscono un patrimonio essenziale, che testimonia del modo in cui le chiese evangeliche declinano il loro intervento nello spazio pubblico. L’attuale quadro sociale e religioso in cui il tema della laicità della scuola si inserisce è profondamente mutato e l’affermazione di un nuovo pluralismo religioso e culturale è una realtà con la quale è necessario misurarsi per intraprendere qualsivoglia azione a tutela dei diritti e delle libertà di tutti.

 

Al contempo, l’affermarsi di una cultura sempre più secolarizzata rende labili i confini tra la determinazione delle appartenenze, con un rapporto tra maggioranza religiosa e scelte di vita lontane da quella tradizione sempre più evidenti. Oltre un milione di studenti ogni anno scelgono di non avvalersi dell’insegnamento confessionale. Tra questi, tante persone con fedi diverse e un cospicuo numero di giovani non interessati a ricevere una formazione religiosa di tipo confessionale. L’insegnamento della religione cattolica perde, gradualmente e sistematicamente, il suo statuto di opzione diffusa e l’impianto legislativo che regola la materia mostra, su scala più significativa che in passato, i suoi punti di debolezza. Lo stato di non obbligo dell’insegnamento confessionale determina, infatti, il diritto di scegliere tra diverse possibilità, essenzialmente riconducibili alla frequentazione di attività formative alternative o di studio individuale assistito e all’uscita dello studente nella scuola.

 

Il rilevante numero di studenti che optano per una di queste possibilità ha determinato la recrudescenza di questioni mai del tutto superate: ritardi nell’attivazione dell’ora alternativa, programmi generici, mancata individuazione di locali adeguati, stallo nella determinazione dell’orario scolastico e difficoltà di assentarsi dalla scuola, limitazione nell’esercizio dell’opzione in corso di anno, generale farraginosità delle procedure e illegittima discrezionalità degli istituti scolastici nella loro gestione. Non ultima, la gestione dell’ora di educazione civica. Il tema è centrale e riguarda le classi di ogni ordine e grado. Ma il tema del mancato rispetto delle previsioni di legge è lo specchio di problematiche più ampie: come non si può pensare di recuperare terreno ostacolando l’esercizio di diritti fondamentali, allo stesso modo il nodo delle possibili strade alternative all’insegnamento confessionale in un’Italia sempre più plurale deve essere posto al centro della riflessione collettiva.

 

Il recente intervento di monsignor Derio Olivero1 ha riposizionato il tema dell’ora di religione al centro del dibattito. Una posizione certamente avanzata, che parte dal significato del pluralismo religioso come tema educativo per la cittadinanza e che si spinge fino a chiedere alla Chiesa cattolica di rinunciare a uno spazio che le spetta di diritto, per consentire a tutti di avanzare nella crescita e formazione alla diversità religiosa e culturale. Il tema implica, come noto, il superamento di importanti ostacoli di tipo legislativo, che hanno a vedere con il sistema concordatario e questioni che attengono alla revisione della politica ecclesiastica, in un momento storico di rapporti Stato-chiesa particolarmente complessi. Se una tale posizione di apertura potrebbe faticare a trovare il giusto seguito all’interno della stessa Chiesa cattolica, le politiche pubbliche dirette a strumentalizzare l’argomento religioso in chiave sovranista non costituiscono minor ostacolo ad una stagione delle riforme.

 

Nondimeno, la proposta si rivolge a tutte le componenti della società italiana e pertanto anche alle chiese evangeliche che, più di altre realtà, vantano una storia di riflessione e impegno sul tema. Alcune componenti del cattolicesimo più dialogante hanno già risposto all’invito di Olivero, con importanti riflessioni sulla necessità di un insegnamento della storia delle religioni e, in generale, sulla centralità dell’alfabetizzazione religiosa nel contesto plurale e post-secolare. La prossima Assise della Fcei vuole favorire un dialogo fraterno entro le chiese sul tema, considerando essenziale agire su una duplice linea. La prima attiene alla piena applicazione della legge e al miglioramento degli strumenti già esistenti, a partire dalla materia alternativa. Ciò significa non solo continuare a vigilare e intervenire per la sua corretta attivazione, ma anche favorire una migliore conoscenza di questo strumento. Sappiamo come la mancata frequentazione dell’ora di religione costituisca, specie per le persone a background migratorio, uno stigma che si aggiunge alle difficoltà di integrazione già esistenti. Ciò spinge, troppo spesso, a optare per l’insegnamento confessionale. La valorizzazione, anche tramite programmi ben strutturati, della materia alternativa costituisce un campo di impegno essenziale che valorizza tutte le diversità.

 

La seconda riguarda il ripensamento globale dell’insegnamento del fatto religioso nella scuola pubblica. Le aperture che provengono dalla Chiesa cattolica spingono a un ripensamento globale della materia, che si svincoli finalmente da un profilo esclusivamente confessionale e sappia tematizzare forme e limiti della presenza del religioso nella scuola pubblica. Si tratta di dare finalmente applicazione al principio di laicità per come disegnato dalla Corte costituzionale, che implica non indifferenza ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione in regime di vero pluralismo.

 

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  1. vescovo di Pinerolo, presidente della Comm.ne episcopale per l’Ecumenismo e il dialogo interreligioso. Il suo intervento è pubblicato sulla Rivista del Clero italiano, n. 7/8 del 2024.