Giorgio Rochat, studioso degli eserciti e delle guerre

Lo storico scomparso sabato scorso era stato anche presidente della Società di Studi valdesi

 

Sabato 19 ottobre, all’età di 88 anni, è deceduto Giorgio Rochat, per molti professore di Storia contemporanea a Torino ma anche in altri Atenei italiani, dal 1990 al 1998 presidente della Società di studi valdesi. Nato a Pavia, da diversi anni si era stabilito a Torre Pellice.

 

Da sempre fra i massimi esperti accademici di storia militare e della storia delle guerre italiane, ha pubblicato una lunga serie di testi rigorosi, che costituiscono un riferimento per gli studiosi del settore, fra cui ricordiamo: L’esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini [1919-1925] (Laterza, 1967); Il colonialismo italiano: la prima guerra d’Africa, la guerra di Libia, la riconquista della Libia, la guerra d’Etiopia, l’Impero (Loescher, 1973); L’Italia nella prima guerra mondiale. Problemi di interpretazione e prospettive di ricerca (Feltrinelli, 1976); Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943 (con G. Massobrio, Einaudi, 1978); La Grande Guerra, 1914-1918 (con M. Isnenghi, ultima ed. Il Mulino, 2008); Le guerre italiane 1935-43. Dall’Impero alla disfatta (Einaudi, 2005). Con Angelo Del Boca, è stato fra i primi e più autorevoli studioso ad affrontare il tema scabroso del colonialismo italiano e delle sue violenze.

 

Ma per il mondo evangelico è stato anche l’autore di un testo di riferimento come l’antologia L’antimilitarismo oggi che l’editrice Claudiana pubblicò nel 1973 alcuni mesi dopo l’approvazione della legge che ammetteva e regolava l’obiezione di coscienza al servizio militare armato. Diverse generazioni di giovani hanno potuto grazie a questa pubblicazion conoscere, in momenti diversi, i testi di don Milani, la documentazione e gli atti processuali degli obiettori che finivano in galera, testi di legge e documenti del mondo evangelico. A partire da queste esperienze e conoscenze, non mancava di dare consulenza e partecipare a eventi della Federazione giovanile evangelica, dove interveniva in maniera non scontata.

 

Per la casa editrice protestante il suo nome è anche legato all’importante Regime fascista e chiese evangeliche (1990). Per Riforma, come anche per la rivista La Beidana è stato un prezioso consulente e più volte è stato intervistato: ricordiamo la sua disamina impietosa dei vari “revisionismi” che tendevano a ridimensionare i crimini del nazifascismo. In ultimo, in occasione del 50° anniversario della fine della Grande Guerra, di cui diceva: «È rimasto il ricordo condiviso e “unitario”: a riprova di questo ancora oggi ci sono parole che riportano a quel periodo, sono diventati luoghi comuni ed evocano qualcosa che fa parte della storia d’Italia. Di questo conflitto non ci si è vergognati. L’esercito non si è macchiato di azioni come quelle svolte in Africa o in Jugoslavia contro i partigiani. Ed è rimasto il ricordo di una grande tragedia».