Sofia o le filosofe del confine

Parità, differenze e liberazione femminile in un libro di Francesca Brezzi

 

Il libro della filosofa Francesca Brezzi* è a suo modo un elogio del chiaroscuro e dei confini. Proviamo ad ascoltare: «… mi limito a ricordare come le filosofe (e le donne) abbiano compiuto un viaggio – reale e metaforico – superando confini o frontiere per portare», nel solco del filosofo Michel Foucault, «dai margini al centro le differenze; tema questo che mi ha sempre appassionato e che in particolare vedo nel cammino delle donne, sia nella realtà politica che nella filosofia». E nel mio piccolo, l’autrice lo sa, scorgo la liberazione femminile proprio nel connubio fra parità e differenze.

 

Attenzione, però: filosofe come Hannah Arendt, Maria Zambrano, Simone Weil o Jeanne Hersch, sostiene Brezzi, «ritrovano», ciascuna a modo proprio, «la declinazione positiva del limite: frontiera intesa non come muro, ma sembrano richiamarsi proprio a Kant, che coglieva una differenza tra barriera (Schranke) o confine (Grenze), l’una chiude, l’altro apre».

 

Sofia, dunque, è forse qui la prosopopea, più che della sapienza in sé, di una ricerca del sapere volta a valicare i confini e a infrangere le barriere, procedendo con delicatezza lungo lo stretto sentiero chiaroscurale delle plurisecolari “legature” politico-sociali e della stratificazione delle culture e dei saperi. Leggendo l’introduzione, poi, mi è venuto da considerare il pensiero delle donne come una sorta di “quarto maestro” del sospetto, per dirla con Paul Ricœur. Del resto, Jacques Derrida, a cui si deve non poco in termini di pensiero della differenza, caro sia all’autrice sia a me, molto si ispirava ai “classici” tre “maestri del sospetto”.

 

Una delle pieghe nelle quali si insinuano tali “maestre” è la “riabilitazione della filosofia pratica”, in particolare alla fine del Novecento, e il “ritorno della virtù” (in area anglofona, si consideri a esempio la cosiddetta Virtue Ethics, con il “corpo a corpo” con Aristotele di autrici quali Martha Nussbaum). Mary Midgley, scrive Brezzi, «da parte sua in Wickedness, (1984), analizza il vizio, considerato giustamente un oggetto etico rilevante per la morale contemporanea, che rinvia alla responsabilità individuale; mentre Mary Warnock in Imagination, (1976), recupera una prospettiva kantiana per sostenere che l’immaginazione è una facoltà in cui confluiscono sia le emozioni che l’intelletto». Qui mi sento di citare un maestro come Maurice Merleau-Ponty: «Nella Critica del Giudizio lo stesso Kant mostra che vi è un’unità dell’immaginazione e dell’intelletto e una unità dei soggetti prima dell’oggetto e che, per esempio, nell’esperienza del bello io esperisco un accordo del sensibile e del concetto, di me e dell’altro, accordo che è esso stesso senza concetto».

 

L’autrice, inoltre, tocca con molto acume la questione del corpo, rendendone mirabilmente l’ambiguità (in senso etimologico) di fondo. Provare a mettere a fuoco tale tema, ella scrive, «significa coglierne la pregnanza e creativa ambivalenza, racchiusa nel suo non essere riconducibile unicamente né ad una dimensione culturale, né a quella biologica, ma vivere del loro difficile intreccio; in ciò il femminismo rappresenta il primo momento teorico in cui si cerca di porre al centro della riflessione tutta la densità simbolica, linguistica insita in tale ambiguità». Un argomento inesauribile.

E che dire di un intero, corposo capitolo dedicato alle «Donne lettrici della Bibbia, a partire dalla Riforma»? Qui mi sento proprio di non togliere al lettore il gusto della scoperta.

*F. Brezzi, Il cammino di Sofia. Roma, Nemapress 2024, pp. 121, euro 15.