Il contributo di tutti e tutte al buon funzionamento di un progetto
Un giorno una parola – commento a Nehemia 2, 20
Il Dio del cielo ci farà ottenere successo. Noi, suoi servi, ci alzeremo e costruiremo
Nehemia 2, 20
Ora lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio nostro Padre, che ci ha amati e ci ha dato per la sua grazia una consolazione eterna e una buona speranza, consoli i vostri cuori e vi confermi in ogni opera buona e in ogni buona parola
II Tessalonicesi 2, 16-17
Correva l’anno 445 a.C.: ormai da due generazioni gli Ebrei deportati un tempo in Babilonia avevano avuto il permesso di tornare nella terra dei Padri. Non tutti, però, lo avevano fatto e alcuni avevano preferito rimanere nella diaspora. Fra questi vi era Nehemia, un uomo certamente di forte carattere, che era riuscito a fare carriera presso la corte persiana. La lontananza non lo aveva però separato né dalla fede in Dio né dal rispetto della Legge. Così viene preso dalla commozione quando alcuni suoi parenti provenienti da Gerusalemme gli raccontano le miserevoli condizioni della città e del Tempio. Non perde tempo e chiede al re di potersi recare nella città di Davide per riedificarla. Il gran re accondiscende e questo diventerà lo scopo della sua vita: ricostruire Gerusalemme e, con essa, ridare un punto di riferimento al popolo disperso. Nehemia e i suoi lasciano dunque una situazione di prosperità per andare a vivere nella precarietà. Con questo atto essi confessano che hanno un progetto dietro al quale non sta la sola volontà umana, ma sta Uno che è più grande di loro.
Si può discutere se quella di ricostruire per prima cosa le mura sia la scelta migliore: costruire un muro non significa forse stabilire dei confini e chiudersi alla realtà esterna? Il gesto è però un chiaro atto simbolico: per sapere chi sei devi fissare dei paletti, devi costituire la tua identità. Il progetto, per poter funzionare, deve essere condiviso da tutti. Tutti devono fare la loro parte, altrimenti è inutile: se un pezzo di muro non è costruito, tutta l’opera difensiva risulta vana. Lo stesso dovrebbe avvenire nel nostro tempo e nelle nostre Chiese. Da anni si parla di crisi, di calo numerico dei membri, di necessità di trovare un nuovo senso ed un nuovo linguaggio per la nostra predicazione. Nehemia, col suo pragmatismo ci mostra la strada che anche noi dobbiamo percorrere: dapprima occorre fare una seria analisi della situazione e quindi ognuno si deve mettere al lavoro, secondo le proprie capacità e possibilità, per portare a termine l’opera comune – confidando nella presenza del Signore. Amen.