Una chiesa sempre più inclusiva

Disabilità e bisogni speciali caratterizzano anche la vita delle comunità cristiane. A colloquio con la pastora Milena Martinat che ha condotto uno studio per le chiese valdesi e metodiste

Fra luglio 2023 e giugno 2024 la pastora Milena Martinat ha realizzato un progetto di mappatura e analisi sull’inclusività delle persone con disabilità o bisogni speciali nelle chiese valdesi e metodiste, i cui risultati sono stati presentati nella relazione della Tavola valdese al Sinodo. Di che si tratta? Ne abbiamo parlato con la pastora Martinat che da anni si occupa del tema “disabilità e inclusione”.

 

– Qual è la genesi della ricerca?

«Nell’anno accademico 2020-2021 ho seguito un master in disability management presso l’Università di Siena, al termine del quale ho informato la Tavola valdese, che mi ha proposto di fare un lavoro sull’inclusione delle persone con disabilità nelle chiese valdesi metodiste, con uno sguardo al contesto estero. Sono partita dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 13 settembre 2006, che l’Italia ha ratificato il 3 marzo 2009; dopo aver riesaminato la normativa nazionale, ho ripreso il documento del Consiglio ecumenico delle chiese del 2003 A Church of all and for all, contenente riflessioni estremamente interessanti, e infine, ho contattato le chiese estere (ben 33 denominazioni di chiese riformate sul territorio europeo e 11 in contesto extraeuropeo): alcune mi hanno risposto via mail, altre mi hanno mandato documenti e materiali, con altre ci sono stati incontri online. Estremamente fruttuoso lo scambio con le chiese europee, canadesi, australiane ed africane, soprattutto della penisola scandinava e con L’Iglesia valdense. A seguito di questo percorso, ho formulato un questionario da sottoporre ai Consigli di chiesa e Concistori con i quali ci siamo incontrati su piattaforma, invitando anche monitorie monitrici, catechisti e catechiste».

 

– Come era formulato il questionario?

«Premessa importante era definire che cosa intendiamo per disabilità, perché spesso si pensa a situazioni molto estreme: le statistiche nazionali indicano che la disabilità riguarda il 22% della popolazione italiana, quindi quasi 13 milioni di persone, di cui 3 milioni sono in condizioni di disabilità grave (fonti Istat); di questi, 1 milione e mezzo hanno età superiore ai 75 anni, dunque, ben 11 milioni e mezzo di italiani comprendono bambini, giovani, adulti con difficoltà motorie o cognitive, con sindromi genetiche o nello spettro autistico, con iperattività, deficit della vista e o dell’udito, con demenze legate all’età o a patologie, con problemi psicologici o di dipendenze. Nel formulare le domande, ho tenuto conto non solo delle barriere architettoniche, sensoriali ma anche, per esempio, degli elementi della Cena del Signore (vino e pane) che possono essere causa di mancata inclusività (per celiaci, persone con allergie e intolleranze, astemi, etilisti…). Accanto alle domande poste alle chiese, ho preparato anche un questionario per gli iscritti a ruolo con domande relative alla loro formazione rispetto a questi temi; infine, un questionario per la Tavola valdese per chiarire la consapevolezza di un organo di governo sulla tematica».

 

– Ha partecipato alla ricerca quasi il 98% del numero totale delle chiese. Come legge questo dato?

«Ho incontrato ben 116 chiese locali, hanno preso parte agli incontri 305 persone, di cui 47 iscritti e iscritte a ruolo: praticamente un plebiscito! Credo che la motivazione sia perché l’inclusività è un tema del quale le chiese hanno necessità di parlare in quanto le persone che sono in condizioni di disabilità sono molte di più di quelle che pensiamo».

 

Quali sono state le maggiori reticenze che ha colto nel corso della ricerca?

«Ho registrato il fatto che le nostre chiese non hanno mai pensato in modo sistematico a rendere i luoghi di culto (anche i servizi e gli spazi sussidiari) accoglienti a persone con disabilità. Al termine di più incontri mi è stato detto che il confronto aveva dato la possibilità di guardare la chiesa e i fratelli e le sorelle coinvolti con occhi diversi, riconoscendo le cose che mancano o che vanno migliorate. È stato interessante che alcune soluzioni si sono trovate nell’immediato e con una spesa accessibile, come a esempio l’utilizzo di una piccola rampa mobile per rendere agibile un ingresso, o anche l’uso del pane senza lievito e senza glutine o del succo d’uva durante la Cena del Signore».

 

– Qual è stato dunque l’obiettivo della ricerca?

«Il primo obiettivo per me era quello di sensibilizzare e rendere attenti al tema e soprattutto far capire che siamo tutti e tutte potenzialmente persone che possono vivere la disabilità, in forme diverse, per un tempo breve o lungo; ognuno e ognuna di noi, a esempio, è un potenziale disabile motorio (per la rottura imprevista di un arto), cognitivo per una demenza precoce, per una sordità o una difficoltà visiva che può giungere all’improvviso. Se abbiamo questa consapevolezza, ci attiveremo perché gli ambienti siano accoglienti, adeguati, al di là del fatto che quel bisogno sia già presente. A esempio, non abbiamo una rampa per salire un paio di gradini perché nella nostra chiesa non abbiamo persone col deambulatore, ma chi ci dice che in occasione di un funerale o un matrimonio non arrivi qualcuno o qualcuna che ne ha bisogno? È lo sguardo che va cambiato! E ci sono diversi livelli di intervento: dalla rampa alla lucina mobile per dare la possibilità di leggere la Bibbia a chi ha difficoltà visive, dal pane senza lievito o senza glutine all’utilizzo di caratteri adeguati quando stampiamo gli annunci e le liturgie».

 

Quali sono i passi da fare per proseguire questo lavoro?

«Il Sinodo ha approvato un atto che invita la Tavola, l’Opcemi e le chiese, a proseguire nell’impegno per rendere gli spazi fisici e liturgici e le attività comunitarie sempre più fruibili e accessibili da tutti e tutte. Personalmente sono a disposizione con le competenze che ho maturato un po’ sul campo, un po’ a livello teorico, per dare il mio contributo alle chiese, affinché siano sempre più luoghi in cui nessuno o nessuna si senta escluso o esclusa. Mi piace ricordare che ho terminato la mia ricerca con i versetti di Matteo 25, 40 in cui Gesù dice «In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l’avete fatto a me», dove il minimo può essere ognuno o ognuna di noi».