Come si fa una letteratura. Lingue, testi e culture nell’autunno del Medioevo valdese
L’annuale convegno della Società di Studi valdesi
Nel suo 850° anniversario non si poteva non guardare “alle fonti” del movimento valdese, anche se, parlando dei manoscritti, focus del 63° convegno della Società di Studi valdesi (Torre Pellice, 5-7 settembre), ci riferiamo al ’4-’500. Il periodo precedente è stato oggetto della Summer school che, ci spiega Andrea Giraudo, studioso dei manoscritti valdesi all’Università di Torino, membro del seggio della Ssv, organizzatore del convegno e (insieme a Francesca Tasca) della scuola estiva, è essenziale per collocare correttamente il convegno, «incentrato su questi testi di fine Medioevo, ormai quasi età moderna, in concorrenza con la Riforma che iniziava a diffondersi. Testi che a differenza di quelli (rari) precedenti, in latino e studiati soprattutto dagli storici, sono studiati anche da linguisti, filologi, ma non solo…».
Nel convegno si sono infatti confrontate discipline diverse, spiega Giraudo: partendo dalla fine, dalla sessione che ha suscitato più interesse e domande, Andrea Maraschi, storico della scienza e dell’alimentazione, è intervenuto sulle pratiche mediche e curative dei barba (tema presente anche nel vol. 1 della nuova Storia dei valdesi) a partire dal manoscritto che riporta ricette di pomate e medicine. «Un testo interessante, che illumina la figura del “barba medico” gettando luce su un aspetto che spesso passa in secondo piano. Ricostruire il contesto intorno a questi testi era uno degli obiettivi, penso anche, sempre parlando dell’ultima sessione, a Marco Fratini, che ci ha offerto un itinerario visivo tra le Valli e Pinerolo, o Paolo Rosso, che ha parlato della cultura giuridica che emerge da alcuni manoscritti».
Il titolo del convegno quindi, spiega ancora Giraudo, «sottintende non semplicemente una somma di ingredienti, ma anche “come cresce” una letteratura, nel rapporto con le lingue, le culture, nel contesto dell’autunno del Medioevo. Ho voluto creare un’occasione per disegnare un panorama intorno a questi manoscritti, oggetto della giornata di venerdì, direttamente o legati a tradizioni letterarie vicine: in franco-provenzale, in lingua d’oc, o nel volgare italiano di cui ha parlato Attilio Cicchella, consentendoci di riflettere sull’interessante dialettica tra manoscritto e stampa, che non è di semplice sostituzione come ci aspettiamo. Una delle mie preoccupazioni era che ci si concentrasse esclusivamente sul contesto valdese, compattando in una massa indistinta “gli altri”: era invece importante delineare meglio questa realtà con cui, non dimentichiamolo, entravano in contatto».
La prima sessione è stata quella più linguistica, in cui per esempio «l’intervento di Matteo Rivoira e Aline Pons ha aiutato a capire come la dialettologia può fornire strumenti per colmare dei “buchi”storiografici. Ho tenuto a inserire anche un intervento apparentemente estraneo, sull’astigiano (Lorenzo Ferrarotti), che con la lente della sociolinguistica storica ci ha mostrato le tensioni fra le diverse parlate: anche se non ci sono punti di contatto con i nostri manoscritti, ci aiuta a capire l’humus in cui una letteratura si crea».
Al di là del focus filologico-linguistico, il convegno non poteva quindi non avere un approccio interdisciplinare, ribadisce Giraudo: «Sia per coinvolgere il pubblico “esterno”, oltre i convegnisti e agli specialisti, sia per rispondere all’esigenza di ricambio della Ssv, di portare a Torre Pellice persone che magari non verrebbero, uscendo dalla solita cerchia. Un convegno di questo genere, in cui confrontarsi con colleghi di altre discipline, favorisce la circolazione delle idee, l’approccio con altri temi e metodi, le nuove conoscenze ed è un’opportunità preziosa soprattutto per i giovani studiosi».
E poi ci sono le moderne tecnologie: come ha spiegato Giraudo nella sua relazione nella prima giornata, Per un repertorio digitale dell’occitano alpino medievale, attualmente, per chi studia l’area occitana alpina di cui fanno parte i testi valdesi, «manca uno strumento unitario, aggiornato, in cui avere una base di dati, di testi trascritti in maniera chiara e scientificamente adeguata, su cui condurre indagini tramite chiavi di ricerca. Ci sono quattro o cinque corpora nell’ambito degli studi sull’occitano medievale, ma mancano gli strumenti per la ricerca sull’area alpina». Chi si occupa di queste materie deve quindi costruirsi il proprio corpus, scambiando i materiali con i colleghi, con tutti i limiti del caso.
Ma lo si potrebbe fare, con le risorse giuste, tenendo conto della crescente importanza delle “digital humanities”, da cui oggi non si può più prescindere, conclude Giraudo.
In attesa della pubblicazione degli atti, ricordiamo che gli interventi del convegno (anche quelli che per brevità non abbiamo citato) si possono rivedere sul canale YouTube della Ssv.