Il ruolo decisivo delle “maestrine”
Uno spettacolo a cura del Coretto valdese raccolta la scelta di una delle insegnanti che affiancarono l’evangelizzazione a fine ‘800
Lo dice il testo che introduce lo spettacolo: «“Sentila, come fa la maestrina”. Ci sarà certo capitato più volte di sentire questa parola, usata con senso spregiativo o riduttivo, per sottolineare di una donna un atteggiamento saccente o una levatura culturale piuttosto modesta». E la mia memoria va anche a una canzone contenuta in un vecchio disco di F. De Gregori: «La figlia del dottore è una maestrina…» (“Piccola mela”, in Rimmel – 1975). Però c’è anche – spiegano le autrici dello spettacolo già proposto a Scicli e a Riesi nell’aprile scorso e andato in scena ieri sera domenica 25 agosto a Torre Pellice, voluto e organizzato dalla Ffevm, Federazione femminile evangelica valdese e metodista – chi ha restituito la giusta dignità a questo ruolo, come Edmondo De Amicis in Cuore (e d’altra parte anche il giornalista-scrittore che visitò le valli valdesi conta accaniti detrattori, per me incomprensibili).
Sta di fatto che senza “maestrine”, il nostro Paese sarebbe stato più povero, soprattutto in anni decisivi come quelli successivi all’Unità d’Italia del 1861. L’istruzione diffusa capillarmente, come avveniva nelle scuolette promosse da Charles Beckwith, prefigurava la realizzazione di un diritto di tutti e tutte, che viene prima del merito delle singole persone da istruire. Uno di quei diritti che ora non sono più così scontati, se teniamo presente quanto avviene nella Sanità pubblica.
Così, quando l’apertura del “ghetto alpino”, dopo le Lettere Patenti del 1848, consentì ai valdesi di fare evangelizzazione nel resto d’Italia, sembrò naturale che l’istruzione di base andasse di pari passo con la creazione nuove chiese e comunità locali, una visione che fra l’altro avvicina l’azione del Comitato di Evangelizzazione della Chiesa valdese a quella dell’Opera metodista in Italia in quella importante fine ’800: ci torneremo l’anno prossimo, nel cinquantenario del Patto di integrazione valdese-metodista – e intanto vi si sofferma anche uno dei saggi contenuti nel volume Metodisti in Italia, recensito in questo numero del giornale.
«L’accostamento del canto a scene teatrali, da parte del Coretto valdese di Torre Pellice, non è nuovo – racconta Cristina Pretto, che dirige il coro, ma tiene a sottolineare il carattere collettivo dell’ideazione e realizzazione di questo lavoro–: una modalità già sperimentata a proposito di America Latina (Tenemos esperanza). In questo caso abbiamo realizzato parti teatrali sotto forma di video (una sorta di “cinema muto” con una voce narrante) per raccontare la storia di un personaggio di fantasia: le abbiamo dato il nome di Jeanne Bonnet, ma la sua figura trova rispondenza nelle lettere di altre persone – queste reali! – impegnate nell’opera di istruzione. Persone che si sono sentite interpellate da una vocazione e non hanno esitato a mettersi a disposizione, percorrendo l’Italia dalle valli valdesi alla Sicilia: e non si viaggiava come oggi…».
L’idea parte dunque da questa suggestione, e dal fatto che un’amica valligiana svolge in questi anni la sua attività di insegnante proprio a Riesi. Simona Bellion, che da 15 anni si occupa di storia valdese nell’attività di precatechismo nella chiesa valdese di Luserna S. Giovanni, spiega il passo successivo: «Siamo partite dalla figura reale di una maestra, che andò a lavorare a Riesi dal 1888 al 1891/92. Scrisse a Matteo Prochet, al Comitato di evangelizzazione, per farsi assegnare in quel ruolo. Ne segue uno scambio di lettere che abbiamo consultato all’Archivio della Tavola valdese: ne emerge la necessità per il Comitato di attenersi a canoni precisi nel distaccamento dell’insegnante, anche per poter ottenere dai Comitati esteri i finanziamenti necessari. Nel nostro lavoro, la protagonista prende il nome di Jeanne Bonnet ma il suo personaggio riunisce aspetti che vengono dai carteggi di altre sue colleghe, per rendere più sfaccettata la sua persona».
Poi, per carità, non mancano i problemi e le difficoltà, dovute principalmente alla lontananza delle culture e delle abitudini: difficoltà che trovano espressione anche nei carteggi; ma la gioia sta sempre nella rispondenza che le insegnanti trovano nei bambini e, prosegue Bellion, emerge anche la fede tenace di queste persone, che non mancano di fare affidamento sull’aiuto di Dio, per svolgere l’incarico di insegnanti di base, per l’istruzione elementare, e anche nell’ambito della scuola domenicale. Il racconto è alternato e legato dal Coretto valdese con canti popolari, inni e spiritual.