Uno con cui discutere, per poi ripartire insieme
Un ricordo di Marco Rostan, scomparso a Luserna San Giovanni
Marco Rostan l’ho incontrato in un campo cadetti ad Agape, nel 1977, come “staffista”, conduttore cioè dei lavori di studio e di svago, animatore è parola riduttiva. L’avevo visto, in anni precedenti, nel giardino della Casa valdese, quando sentivo che veniva definito “il contestatore”. Dunque ad Agape, dopo averlo riconosciuto dai baffi, come molti miei coetanei e coetanee, trovai in lui una persona che con parole chiare ci faceva capire che la fede non sta solo nei libri, ma deve e può vivere in ognuno e ognuna di noi. Si può fare, se accettiamo di rispondere a Colui che ci chiama. Parole dette con serietà, da uno che faceva l’insegnante ma non era noioso, che era convinto ma che di fronte ai non credenti usava la stessa schiettezza, unita a un grandissimo rispetto delle loro scelte.
Lì per lì, a 15 anni un “contestatore” può stare simpatico a prescindere, e io non riuscivo a capire bene come lo “staffista”, che parlava come un pastore e contribuiva a rafforzare la nostra convinzione di giovani sprovveduti evangelici, potesse essere la stessa persona che prima veniva definita come il bastian contrario, il polemico, quasi un sovversivo.
Ci volle poco per capire che non c’era nessuna contraddizione: la contestazione, che si era manifestata soprattutto nel corso del Sinodo del 1968, era diventata costante militanza, fatta di sguardo critico, anche polemico, e poi si tradusse in una assunzione di responsabilità via via più importanti. Tutto ciò era in Marco dettato da un profondo amore per la sua chiesa, per le persone che vi operano, per le strutture e soprattutto per la Parola predicata. In nome di questa vera e propria passione ci si poteva arrabbiare, scontrare, e poi riconciliarsi, sempre al servizio della causa. Forte nei toni, usava parole forti, nella denuncia delle storture e degli errori (anche nostri, non solo quelli dei cattolici o dei politici o di “lor signori”); ma sapeva dare anche parole di speranza, che non venivano solo dalla bellezza dello stare insieme – di cui pure si rallegrava –, ma dalla consapevolezza di essere, tutti e tutte, convocati dalla Parola di Dio e di dovere, un giorno, a lui rendere conto.
Tappe di questa militanza: la Federazione giovanile evangelica in Italia (Fgei) e la direzione per molti anni della rivista Gioventù evangelica; la conduzione del Centro “Jacopo Lombardini” a Cinisello Balsamo; la presenza in una quantità di comitati e commissioni, a livello sia di Chiesa valdese sia di Federazione delle chiese evangeliche in Italia; il Movimento cristiano studenti; il lavoro politico/ecumenico di Com/Nuovi tempi. Soprattutto, forse l’aspetto che lo coinvolse maggiormente a partire dalla metà degli anni ’80, la partecipazione a comitati, incontri, convegni legati all’intreccio fra scuola e laicità, tema diventato inopinatamente desueto, ma che allora, con l’avvio dell’Irc a corollario del Nuovo Concordato, originò una serie di battaglie condotte dalla Tavola valdese e dalla Fcei in tutte le sedi.
Laureato in Architettura, era attento soprattutto all’urbanistica, cioè all’intreccio fra la creazione artistica e il problema sociale della vivibilità di quartieri e città: così raffigurò nei suoi disegni i templi delle valli valdesi e i paesaggi urbani di Cinisello. Passava dalle sedute della Tavola valdese (di cui sarà membro a cavallo tra anni ’80 e il 1994) a quelle dei comitati delle scuole, dove la voce degli evangelici si confrontava con quelle più politiche o “di categoria”. Avendo insegnato Applicazioni tecniche (poi Educazione tecnica) alle scuole medie, poi insegnante di sostegno e ancora distaccato presso il Centro culturale valdese a Torre Pellice, era uno dei pochi, nella politica locale, a porsi il problema di usare un linguaggio meno paludato, meno “politichese”, se si voleva trovare qualche ascolto presso i giovani. In pochi lo capirono, lui si arrabbiava, e poi ricominciava a lavorare con gli altri, non rinunciando alle passioni per il calcio (praticato da ragazzo, nelle giovanili della Roma, ma poi come tifoso del Toro!) e per la montagna, che rievoca nel racconto autobiografico «Tutto ciò che la tua mano trova da fare» (Claudiana/Centro culturale valdese, 2008)
Una vita di serietà e di costanza: un po’ d’altri tempi, ma questo è un pregio; ne avevamo ancora bisogno. Anche a Riforma – L’Eco delle valli valdesi, che ha visto nascere nel 1993, e di cui è stato collaboratore e membro della redazione allargata per moltissimi anni, non limitandosi a scrivere articoli ma partecipando alle riunioni dove suggeriva, inventava, criticava. Analogo lavoro aveva fatto con l’Eco-Luce, antesignano di Riforma. Per questo oggi, nella tristezza del momento, siamo riconoscenti al Signore di averci dato un compagno di strada, per molti di noi un fratello maggiore, con cui era bello discutere e poi riconciliarsi, e ripartire.