Riconoscersi creature amate da Dio

Un giorno una parola – commento a Marco 4, 38-39

 

O Dio, hai fatto tremare la terra, l’hai spaccata; risana le sue fratture, perché sta per crollare
Salmo 60, 2

I discepoli svegliarono Gesù e gli dissero: «Maestro, non ti importa che noi moriamo?» Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia
Marco 4, 38-39

 

Ci sentiamo in pericolo, impauriti e cerchiamo una via di uscita. Le nostre paure ci bloccano e ci fanno sentire deboli e indifesi. Ci guardiamo intorno e sembra che tutto ci crolli addosso.  Se il panico ci sovrasta, non riusciamo a vedere la soluzione e rimaniamo in balia della nostra paura. Chi può fermare il vento impetuoso che attraversiamo durante il corso della nostra vita?

 

Rivolgerci a Dio, ricordare la venuta di Gesù sulla Terra per salvarci, può acquietare il nostro panico? Sì, perché vuol dire che affermiamo che non siamo soli, che la nostra forza deriva dal sapere di essere amati e sostenuti, ammettiamo di essere delle creature che hanno bisogno di essere aiutate. Ammettere la propria debolezza vuol dire anche capire le debolezze altrui ed essere meno severi nei giudizi e più propensi a guardare al prossimo come fratello o sorella.

 

Il successo della nostra vita dipende da quanto comprendiamo il nostro legame con Dio, da quanto desideriamo che questo legame sia forte e duraturo. Le fratture della nostra vita possono essere ricucite e impreziosite solo se il nostro sguardo sa andare oltre alla tempesta, oltre al vento che ci sovrasta e ci fa sentire insignificanti. Siamo esseri preziosi agli occhi di Dio, siamo un tassello del suo progetto e senza di noi, mancherebbe un pezzo del puzzle che ha creato con armonia e devozione.

 

Le tempeste finiscono, si può sempre ricominciare, ma il non riconoscere il nostro essere creature amate e sostenute, ci farà tornare nel panico alla prossima bufera. Ancorati all’amore di Dio, possiamo superare ogni ostacolo e rimanere saldi. Amen.