A Camaldoli sono iniziati i lavori della 60a sessione del Sae

Il Segretariato attività ecumeniche e la sua sessione estiva fino al 3 agosto 

«Accogliamo la tua presenza in mezzo a noi. Ti chiediamo di risplendere e di riempire con la tua chiarezza ogni momento condiviso, ogni spazio di incontro. Brilla con la tua luminosità, liberaci da ciò che ci opprime e invitaci a trasformare il nostro mondo con cura, con amore e con la tua pace». Con una grande preghiera ecumenica sul sagrato della chiesa si è aperta oggi al Monastero di Camaldoli la 60a Sessione di formazione ecumenica del Sae. Quasi duecento persone da ogni regione d’Italia, laiche, laici, presbiteri e religiosi di diverse confessioni cristiane hanno pregato attraverso canti, parole e gesti simbolici.

Nello stesso luogo è seguito il discorso inaugurale della presidente del Sae, la valdese Erica Sfredda, sul tema della sessione “Una terra da abitare e da custodire”: «Permane una grande difficoltà della nostra generazione e di quella che ci precede – ha detto – nell’assumersi in prima persona la responsabilità del cambiamento climatico: non intendo demonizzare le innovazioni che la nostra epoca ha portato, ma credo che dovremmo tutti e tutte diventare più consapevoli del peso delle nostre azioni quotidiane, delle nostre piccole, apparentemente insignificanti, azioni quotidiane». Questo tema riguarda anche il Sae non solo in quanto «uomini e donne che hanno una più o meno lunga speranza di vita davanti a sé, e che sono genitori e zii e nonni di persone ancora molto giovani, ma in quanto umanità che ha fede nel Dio Creatore. Esseri viventi che sono al mondo per volontà del Signore e questo comporta una responsabilità: una enorme responsabilità. Amiamo perché Dio ci ha amati per primi e siamo vivi perché Dio ci ha dato la vita».

Questa lettura della situazione, che ha citato anche i contributi del Consiglio ecumenico delle Chiese attraverso il processo conciliare Giustizia, pace e salvaguardia del creato e l’impegno del Patriarca ecumenico Bartolomeo, è una delle letture della crisi antropologica che si affacceranno alla sessione per un confronto e per avviare proposte di cambi di rotta.

«Forse è arrivato il momento di cambiare la nostra prospettiva, di rimboccarci le maniche e di lavorare insieme alla salvaguardia di tutto il Creato, anche del Sud del mondo, troppo spesso ridotto a fornitore di materie prime e discarica dei prodotti nocivi prodotti dai Paesi ricchi, tutto il Creato, anche gli animali, costretti a intrattenerci nei nostri salotti, o a produrre carne e cibo per le nostre tavole, tutto il Creato, anche le piante, le rocce, i monti, i fiumi, i laghi» ha concluso Sfredda.

Nel primo panel della sessione di formazione ecumenica del Sae iniziata lunedì al Monastero di Camaldoli, due interventi hanno esaminato il tema della 60a edizione dal punto di vista biblico e teologico.

Athenagoras Fasiolo, vescovo di Terme, vicario per il nord Italia della Sacra Arcidiocesi ortodossa d’Italia del Patriarcato ecumenico, ha contestualizzato il tema della creazione nell’antichità greca e romana, nelle Scritture ebraiche e nella Chiesa nascente con particolare riferimento ai Padri della Chiesa. Il suo intervento si è concluso con esemplificazioni sul rapporto di monaci e asceti con gli animali e le piante, e con le preghiere della Chiesa per l’ambiente.

Il teologo Simone Morandini, del Comitato esecutivo del Sae, ha proposto un vasto e articolato excursus su un nuovo modo di confessare il Creatore nelle diverse confessioni cristiane a partire dagli anni ’70 del Novecento, lasciando poi ai partecipanti delle domande: «Come vivere della natura in forma sostenibile, con quella lungimiranza provvidente che Dio usa nei confronti nostri e della terra? Come orientare le nostre esistenze personali e la vita assieme in tal senso? Come essere davvero custodi – e non satana della terra? Come la nostra lettura delle Scritture ci impegna, ci illumina, ci sostiene in tale compito? Le nostre risposte non potranno essere ingenue, nel senso del mero ritorno all’antico: non si tratta di guardare ad un’origine ormai perduta, ma di imparare a declinare nello spazio della fede biblica un’attiva speranza, per la storia e per la creazione, per il mondo della vita tutta».

Foto di Laura Caffagnini