Una Bibbia “presidenziale”?

Il ritiro di Biden, il ruolo di Kamala Harris: intanto il candidato Trump continua a rivolgersi all’elettorato evangelical con iniziative a effetto

 

Il passo indietro è finalmente arrivato e Joe Biden si è ritirato dalla corsa per le presidenziali del prossimo 5 novembre. Almeno fine alla Convention di Chicago del 19 agosto, il testimone democratico passa così a Kamala Harris. Per convincere il popolo dem e, soprattutto, per invertire i sondaggi che in prevalenza la danno per sconfitta, la vicepresidente deve scalare una montagna di pregiudizio e scetticismo: un cambiamento è sempre possibile ma solo alla condizione, oggi assai difficile a immaginarsi, che la Convention infiammi gli animi di un partito e di un elettorato incerti e depressi. In attesa che i democratici sciolgano i loro dubbi, Trump resta saldamente al centro della scena e, ad oggi, è lui l’uomo da battere.

 

Ne è consapevole e, soprattutto dopo l’attentato del 13 luglio, ha assunto toni più moderati del solito, preferendo giocare di rimessa e lasciando che sia la debolezza del campo avversario ad affermare la forza e la credibilità della sua candidatura. A mobilitarsi con a consueta irruenza comunicativa è il suo popolo, gli uomini e le donne del MAGA (“Make America Great Again” – “Facciamo di nuovo grande l’America”), lo slogan nostalgico quanto efficace di questa campagna repubblicana.

 

I dati economici, l’analisi geopolitica e la cronaca stessa, ci dicono che si tratta di un sogno illusorio e regressivo, centrato su un sovranismo radicale ormai fuori tempo: la debolezza e la volatilità dei mercati è ormai una costante; la normalizzazione dei rapporti con la Russia non è certo dietro l’angolo; la Cina rafforza le sue posizioni nei cinque continenti; in un Medio Oriente in fiamme, l’Iran non sta certo a guardare. Ma la suggestione che Trump possa garantire il ritorno al tempo antico della pax americana in cui la classe media, nuovamente garantita e protetta, riesca a trainare un nuovo miracolo americano resta molto forte e attrae il plauso di settori moderati, talora assai distanti dall’impetuoso estremismo del candidato repubblicano.

 

Il gruppo religioso che più compattamente sostiene Trump è l’articolata galassia evangelical che, secondo i dati del Pew Center di Washington, si esprime a suo favore nella percentuale del 67%: assai più dei cattolici (51%), dei protestanti storici (47%), degli evangelici di origine ispanica (45%) o di quelli afroamericani tra i quali il consenso al tycoon precipita al 17%.

 

Come noto, la galassia evangelical nordamericana è assai articolata e comprende reti organizzate come l’influente National Association of Evangelicals (Nae), megachurches, network dei telepredicatori, chiese indipendenti prive di una affiliazione denominazionale. Ma anche pentecostali, chiese di tradizione fondamentalista, associazioni pro life, movimenti e think tank della Destra religiosa; persino segmenti minoritari delle chiese protestanti storiche. Siamo insomma di fronte a un fenomeno complesso e articolato che, se in netta maggioranza oggi si colloca a destra, al suo interno comprende altre componenti politicamente più moderate e talora orientate sui temi del pacifismo e della giustizia sociale. Il nome più noto è quello di Jim Wallis, già direttore della rivista Sojourners, e oggi in libreria con un libro dichiaratamente critico nei confronti della destra religiosa: The False With Gospel. Rejecting Nationalism, Reclaiming True Faith and Refounding Democracy. Un volume impegnativo che, con il linguaggio di una spiritualità evangelica carismatica, denuncia il travisamento di un falso evangelo, “bianco”, nazionalista, militarista e populista.

 

Ma questa, come altre, sono voci minoritarie. Il grande capolavoro politico di Trump e di chi dirige la sua campagna è stato quello di addomesticare la figura di un tycoon spregiudicato e fiero della sua amoralità, in un testimone della fede cristiana, che cita la Bibbia e anzi la pubblicizza. Milioni di americani hanno visto uno spot in cui Trump agita una copia della God Bless the USA Bible: questa versione della Bibbia, che riporta la firma presidenziale e l’invocazione delle benedizioni di Dio sul lettore, è l’unica – si legge – nella quale l’ex presidente si riconosce pienamente. Per quanto il prezzo non sia proprio incoraggiante – sessanta dollari – è diventata un oggetto di culto della Destra religiosa. Agli occhi dell’elettorato evangelical, i tre matrimoni di Trump, la sua condanna per avere pagato il silenzio di una pornostar con cui aveva avuto una relazione extraconiugale, la dissennata campagna sul “furto elettorale” del 2020 passano in secondo piano. Alla fine – spiegano i leader del movimento – anche re Davide ebbe le sue colpe ma si convertì e divenne uno strumento nelle mani di Dio.

 

«Gesù è il mio re, Trump il mio presidente», ha scandito il popolo evangelical che lo ha acclamato alla convention repubblicana conclusasi nei giorni scorsi in Wisconsin. Di lui i suoi sostenitori apprezzano la schiettezza e la determinazione con cui, con precisi atti politici, ha cercato di demolire la legislazione sull’aborto, di limitare i diritti della comunità Lgbtq, di sostenere i gruppi fondamentalisti del cosiddetto “sionismo cristiano” e ha invocato un’America che, come ha affermato il 27 marzo, “torni a pregare”. Ripetendo “Dio è con me”, Donald Trump si propone l’uomo della rivincita di un’America conservatrice e disorientata che, a dispetto della sua Costituzione e della dinamica sociale che l’attraversa, vuole dichiararsi “cristiana”.

 

 

 

Foto: e