Umanizzare la pena: sì, ma come?

Umanizzare la pena: sì, ma come? Le carceri in estate vedono acuirsi i problemi di sempre: di fronte al sovraffollamento non basta la sola sicurezza, ma occorre rilanciare la giustizia riparativa e tendere al reinserimento

 

Umanizzare la pena: questo è il messaggio che il governo italiano ci invia attraverso il decreto legge del 4 luglio 2024 per rispondere al sovraffollamento carcerario e al preoccupante aumento di suicidi tra detenuti e polizia penitenziaria. Ma come intende umanizzare la pena?

 

Innanzitutto con mille unità in più e venti dirigenti in più della polizia penitenziaria. L’idea è, pertanto, che l’umanità si raggiunge con un maggiore controllo della sicurezza. Io pensavo, invece, che si raggiungesse con un maggior numero di educatori, operatori sociali e psicologi. O quanto meno facendo metà e metà tra cura e sicurezza. Senza cura dell’essere umano non c’è sicurezza.

 

In secondo luogo, ai detenuti verrebbe concesso il beneficio di sei colloqui telefonici al mese anziché quattro, fermo restando la loro durata di dieci minuti. Ma ci vorrà un regolamento governativo per realizzare il cambiamento. Per ora decideranno in deroga i direttori degli istituti penitenziari: autonomia differenziata nel governo dei diritti dei detenuti.

Chi conosce la vita carceraria sa bene che due telefonate al mese in più sono gocce nel mare della vita repressa del recluso. Una vera umanizzazione sarebbe stata raggiunta con una “liberalizzazione” delle telefonate per i detenuti non pericolosi, soprattutto autori di reati di scarso allarme sociale.

 

Pare interessante la prospettiva, anche questa, però, rinviata all’approvazione di successivi decreti, di istituire un elenco di strutture residenziali per l’accoglienza e il reinserimento sociale di condannati a misure penali di comunità (in sostanza l’affidamento in prova al Servizio sociale). Queste strutture dovrebbero essere riservate a coloro che non hanno un domicilio idoneo o sono in condizioni economiche tali da non poter provvedere al loro sostentamento. Io temo che queste strutture – certo non allestite dallo Stato ma trovate dal terzo settore – possano diventare dei luoghi di espiazione della pena, di fatto appaltati al privato sociale. Vedremo.

 

Per finire, il governo intende semplificare le modalità di concessione della liberazione anticipata che viene riconosciuta con una detrazione di 45 giorni per ogni semestre di pena detentiva, purché scontata nel pieno rispetto delle regole penitenziarie e con partecipazione all’opera di rieducazione. In realtà, i più autorevoli magistrati di sorveglianza ritengono che, paradossalmente, questa semplificazione comporterà ritardi nel conteggio degli sconti di pena e delle incertezze sul computo esatto della pena scontata che si rifletteranno negativamente per le attese di libertà del detenuto.

 

In senso del tutto contrario ai propositi di umanizzazione, il decreto legge introduce una nuova disposizione all’interno dell’ormai famoso 41 bis dell’ordinamento penitenziario che, come è noto, sospende, per il detenuto autore di gravissimi reati, le ordinarie regole del trattamento penitenziario: restrizione in carceri e sezioni speciali, esclusione di contatti tra detenuti, limitazione della permanenza all’aperto, censura della corrispondenza. Ora, il decreto stabilisce anche l’esclusione dall’accesso ai programmi di giustizia riparativa, vale a dire a possibili percorsi volontari, consensuali e reciproci con le vittime.

Per quanto si tratti di casi rarissimi, sono testimone e partecipe di incontri – in alcuni casi voluti dalle vittime stesse – con detenuti della criminalità organizzata responsabili di plurimi omicidi. Questi dialoghi sono resi possibili solo da una lunga e faticosa ricerca di riconoscimento di una nuova identità in modo da superare il rischio, tanto per la vittima quanto per l’autore, di essere irrimediabilmente identificati con il crimine, rispettivamente, subito e commesso. Perché, dunque, vietare in modo assoluto questa riscoperta dell’umanità dell’altro che, per quanto rara in relazione a delle vite distrutte, è un’esigenza che uno Stato civile dovrebbe coltivare e non reprimere?

 

Sono, purtroppo, pessimista perché i numeri parlano chiaro. Negli ultimi quindici anni le carceri italiane sono diventate più umane solo in due occasioni e non per volontà delle nostre autorità. Nel primo caso è stata la Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2013, a dire che le nostre carceri erano disumane per il solo fatto che le celle non rispettavano un minimo di agibilità. Quella condanna comportò una riduzione della popolazione carceraria da 66.000 a 52.000 presenze.

 

Ma, anno dopo anno, le presenze carcerarie sono tornate a crescere fino a quando è intervenuta la pandemia da Sars Covid 19 a riportare i detenuti da 60.000 a 54.000. Anche in questo caso, finito l’effetto pandemico, le celle si sono di nuovo riempite. Potrei dire che, in realtà, in questi anni non ci sono state profonde differenze tra le forze politiche nel trattare la questione “carcere” perché l’argomento della sicurezza è elettoralmente troppo sensibile. 

 

Devo però ammettere che negli ultimi due anni assistiamo a una impennata negli ingressi in carcere che non ha precedenti per ritmo e non ha giustificazione in un corrispondente aumento della criminalità: 56.000 al 31.12.2022, 60.000 al 31.12.2023, 61.480 al 30.6.2024.

Nessuna delle misure indicate dal nuovo decreto sembra poter invertire questa tendenza. 

 

Se l’umanità di un governo si misura in relazione alle scelte politiche verso i più fragili non deve sfuggire che, qualche giorno fa, nella Commissione Giustizia della Camera, la Lega e Fratelli d’Italia hanno votato per eliminare l’obbligo stabilito dal Codice penale del differimento della pena detentiva nei confronti delle donne incinte e delle madri di prole inferiore a un anno.

È dunque del tutto probabile che le nostre vecchie, fatiscenti e incivili prigioni dovranno far posto non solo a una umanità sempre più sbandata ma anche a vittime davvero innocenti che porteranno per sempre i segni di un’esperienza distruttiva e il sentimento di assoluta sfiducia nei confronti delle nostre istituzioni.