Il lavoro c’è (e anche le note criticità)

«Come sta cambiando il mondo del lavoro» è il titolo del dossier di luglio del free press mensile “L’Eco delle valli valdesi” in distribuzione in questi giorni.

 

«Come sta cambiando il mondo del lavoro» è il titolo del dossier di luglio del free press mensile “L’Eco delle valli valdesi” in distribuzione in questi giorni in tutto il territorio del Pinerolese e leggibile interamente anche su questo sito, accedendo dalla home page.

 

In questo articolo con Cesare Damiano, già ministro del Lavoro, facciamo il punto della situazione e sulle prospettive future, segnate dalla carenza di manodopera.

 

– La crisi del 2007 è definitivamente alle spalle per quanto riguarda il mondo del lavoro?

«Sul piano quantitativo, relativamente all’occupazione, siamo ben oltre. Nel senso che, come certificato dall’Istat, il tasso di attività è a livelli storicamente mai raggiunti. Nel primo trimestre di quest’anno si è superato il 62%, un livello mai visto da quando sono iniziate le rilevazioni statistiche sull’occupazione. Ma quello che, in astratto, è un dato lusinghiero per il mercato del lavoro, non deve nascondere gli altri problemi. Come è noto, da decenni la produttività è stagnante e la crescita occupazionale dell’ultimo periodo è prevalentemente a carico dei settori a bassa retribuzione trainati dal turismo: bar, ristoranti, alberghi, imprese di pulizia, e via elencando. Parliamo di quella parte del mercato del lavoro che applica contratti “poveri” e dove, non di rado, si offrono lavori di poche ore settimanali, magari accompagnati da una parte di salario pagata al nero».

 

– Dopo anni in cui c’era manodopera in esubero la rotta sembra essersi invertita? Molte aziende lamentano una carenza. C’è un rischio concreto di chiusura per alcune aziende causa assenza di manodopera?

«Il problema è stato inquadrato con precisione da Mario Draghi nel discorso tenuto alla “Conferenza di alto livello sul Pilastro europeo dei diritti sociali”, tenuto il 17 aprile, davanti ai rappresentanti delle forze produttive. Spiega Draghi che “un altro input cruciale che dobbiamo garantire […] è la nostra offerta di lavoratori qualificati. Nell’Ue tre quarti delle aziende segnalano difficoltà nel reclutare dipendenti con le giuste competenze, mentre 28 occupazioni che rappresentano il 14% della nostra forza lavoro sono attualmente identificate come caratterizzate da carenza di manodopera. Con le società che invecchiano e gli atteggiamenti meno favorevoli nei confronti dell’immigrazione, avremo bisogno di trovare queste competenze internamente. Molteplici parti interessate dovranno lavorare insieme per garantire la pertinenza delle competenze e definire percorsi flessibili per il loro miglioramento”. Draghi, non a caso, cita l’ostilità nei confronti dell’immigrazione che, ormai da tempo, è stata invece individuata dalle associazioni d’impresa dei più vari settori come una fonte di manodopera essenziale. Da questo punto di vista, molte policy sono da rimettere in discussione e correggere».

 

 

– La carenza è dovuta a un reale calo della popolazione in età da lavoro oppure da salari e contratti non adeguati?

«Il fattore demografico è, senz’altro, determinante. Poi, più in generale, ve ne sono altri che incidono sul mercato del lavoro. E qui veniamo alla dolentissima nota dei salari. A fronte di un reale aumento dell’occupazione, se il salario dei lavoratori rimane basso, il problema della perdita del potere d’acquisto non è risolto. Abbiamo, tra l’altro, alle spalle la dura stagione dell’inflazione che ha eroso, in generale, il potere d’acquisto delle retribuzioni così come delle pensioni. Qui si deve operare con la contrattazione. Nella quale si manifesta una contraddizione tra quella di qualità e quella mediocre. Con quest’ultima intendo quella di associazioni di imprese e sindacati di comodo, che stipulano accordi volutamente a livelli assai bassi: quelli che comunemente si chiamano contratti “pirata”. Soggetti, le organizzazioni pirata, che dovrebbero essere messi fuori legge. La retribuzione, stabilisce la Costituzione all’articolo 36, deve essere “proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Questo è, oggi, un problema sempre più rilevante.

 

Esistono senz’altro strumenti che devono essere o adottati o resi strutturali. Bisogna adottare il salario minimo, a partire dai lavoratori che non hanno ancora un contratto di lavoro: si pensi al vasto arcipelago dei lavoratori delle piattaforme digitali. Poi si possono innalzare gradualmente le retribuzioni più basse portandole alla soglia desiderata, quella dei 9 euro lordi orari, ma a carico delle imprese che hanno applicato retribuzioni che stanno al di sotto di quella soglia. Inoltre, seppur nel difficile stato nel quale si trova la finanza pubblica, si deve puntare ancora alla fiscalizzazione del cuneo fiscale per i salari al di sotto dei 25.000 euro lordi annui, che già esiste, ma va resa strutturale. Questo è un punto chiave.

 

Infine, è necessario incentivare i rinnovi dei contratti perché vengano stipulati alle giuste scadenze. Scadenze che, invece, non vengono sempre rispettate. È un fenomeno grave. Parliamo di contratti che scadono dopo tre anni e che vengono rinnovati magari dopo sette-otto anni e oltre».

 

– Continua a crescere il lavoro precario e il mondo del “nero”?

«Purtroppo, sì, come abbiamo visto per tutte le ragioni esposte sopra. E questo ha effetti estremamente gravi. Non solo sul piano della qualità dell’occupazione e delle retribuzioni, ma anche per quel che riguarda la tutela della sicurezza dei lavoratori. Le stragi alle quali abbiamo assistito in sequenza in questi mesi, fino al raccapricciante episodio della morte del bracciante indiano Satnam Singh, ci parlano proprio di questo. Dalla catena dei subappalti a cascata al lavoro stagionale, fino al più bieco sfruttamento nei campi di lavoratori privi di ogni protezione contrattuale e di legge, ci troviamo di fronte a una situazione vergognosa, che meriterebbe un’attenzione assai più vigile da parte delle Istituzioni per garantire la piena applicazione delle leggi».

 

-Come si prospetta il futuro immediato? Tenderà a peggiorare sia dal punto di vista contrattuale e salariale sia da quello della manodopera?

«La domanda porta a un altro interrogativo. È evidente come il Governo sia in difficoltà nell’intrico delle complesse questioni di finanza pubblica. L’eccesso di deficit e la procedura di infrazione avviata dall’Unione mettono in evidente difficoltà l’Esecutivo di fronte all’architettura della legge di Bilancio per il 2024.

In un contesto simile, la costruzione di un ampio e fattivo dialogo con le parti sociali sarebbe fondamentale per affrontare le grandi questioni del lavoro così come quelle del welfare, sia dal punto di vista della Sanità pubblica che da quello della previdenza.

Per il momento i “tavoli” sui quali si dovrebbe avviare il dialogo sociale su tutti questi argomenti stentano a decollare, perché gli incontri finora svolti sono stati più apparenza che sostanza. È perciò difficile fare previsioni improntate all’ottimismo e resta aperto, appunto, l’interrogativo sull’approccio del Governo Meloni al rapporto con le parti sociali. I prossimi mesi ci diranno».