Il frutto di labbra che confessano il suo nome

Un giorno una parola – commento a Ebrei 13, 15

Il Signore è la mia forza e il mio scudo; in lui s’è confidato il mio cuore, e sono stato soccorso; perciò il mio cuore esulta, e io lo celebrerò con il mio canto

Salmo 28, 7

 

Per mezzo di lui, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome

Ebrei 13, 15

 

«Per mezzo di lui»: il riferimento è, ovviamente, a Gesù Cristo, il nostro «sommo sacerdote» (Ebrei 4,14), il cui sacrificio unico e irripetibile (cfr. 10, 10; 12) fa sì che noi possiamo accostarci «con piena fiducia al trono della grazia» (4,16), senza più bisogno di mediazioni sacerdotali e di sacrifici animali. Questo non significa che i sacrifici siano completamente aboliti, perché i cristiani possono ancora offrire «sacrifici di lode», espressione che riprende Levitico 7, 12 nella traduzione dei Settanta: il sacrificio di ringraziamento è infatti, nella versione greca, «sacrificio di lode» (thusìa ainéseos). Per l’autore della lettera agli Ebrei questo è il sacrificio spirituale (cfr. Romani 12, 1) che possiamo offrire: il «frutto di labbra che confessano il suo nome».

Anche l’espressione «frutto di labbra» è ripresa dal greco dei Settanta, in specifico dalla traduzione di Osea 14, 2 dove, nel testo originale ebraico, si trova invece la curiosa espressione «vitelli delle nostre labbra». Non sappiamo se la versione dei Settanta si rifaccia a un testo più antico di quello masoretico, oppure se abbia cercato di interpretare il riferimento ai «vitelli». In ogni caso, il senso del brano è chiaro: «Dio è prioritariamente interessato non a vitelli immolati sugli altari, bensì ai “vitelli delle nostre labbra”: cioè, al sacrificio spirituale di labbra dedicate al riconoscimento di Dio e alla lode di Lui» (Homer A. Kent, Jr, The Epistle to the Hebrews: a Commentary, Baker Book House, Grand Rapids, Michigan 1977, p. 287).

All’inizio della nostra settimana abbiamo riflettuto sull’importanza di confessare la nostra fede con le labbra (meditazione del 25/6 su Romani 10, 10): la chiudiamo con un altro appello alla pubblica confessione del nome del Signore, naturalmente senza dimenticare di compiere il bene e di mettere in comune i nostri beni: «perché è di tali sacrifici che Dio si compiace» (v. 16).