Mediterranean Hope, ora più che mai

Ciò che si è fatto in passato, ma anche le ipotesi per il futuro: il programma Rifugiati e Migranti della Fcei ricorda che il suo impegno è dettato da una esigenza di giustizia

 

Trovarsi a celebrare un anniversario può essere un’occasione preziosa per ripercorrere tutta la strada che si è fatta, quali sfide sono state affrontate, quali traguardi raggiunti. È anche un’opportunità, dopo essersi guardate indietro, per alzare gli occhi verso l’orizzonte immaginando quanto ancora si può andare oltre. È proprio questo il momento che sta attraversando Mediterranean Hope (MH), il programma Rifugiati e Migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) nato 10 anni fa, nei primi mesi del 2014.

 

MH nasce come risposta a una chiamata di testimonianza evangelica, un atto di fede compiuto dalle chiese protestanti italiane che hanno sentito l’urgenza di essere al posto giusto nel momento giusto. Tutto nasce da Lampedusa, dopo il naufragio del 3 ottobre 2013, e dalla consapevolezza che essere in quel luogo di frontiera aveva in significato profondo, non solo per il ruolo geopolitico di centralità per i flussi migratori del Mediterraneo: quello di essere una chiesa capace di stare ai margini, come Gesù stesso ci insegna, là con chi vi è ingiustamente costretto.

 

Da Lampedusa si sviluppa l’intuizione e la concretizzazione dei Corridoi umanitari, vie sicure e legali per arrivare in Italia e in Europa evitando i viaggi mortali del Mediterraneo. Nasce la Casa delle Culture a Scicli, dove si accolgono minori, persone vulnerabili, famiglie dei corridoi umanitari. Ci si sposta nelle campagne della Piana di Gioia Tauro, in Calabria, accanto ai lavoratori bracciati per la rivendicazione del diritto a salari e abitazioni dignitose. E ancora sulla Rotta Balcanica, tra Bosnia e Croazia, dove tante persone tentano di attraversare un confine militarizzato per raggiungere la “Fortezza Europa”.

 

Cogliendo l’occasione dei dieci anni di MH si possono quindi vedere tante tappe, alcune che sembravano sogni irrealizzabili, ma che con coraggio, perseveranza e un po’ di “pazzia” della fede sono state raggiunte. Grazie a tutte le persone che le hanno immaginate, a chi ci lavora ogni giorno, alle chiese che ci credono e ci sostengono, qui in Italia ma tanto anche all’estero. Un’avventura collettiva, dalla parte delle persone a cui non vengono riconosciuti diritti che a volte diamo per scontati, come quello di decidere liberamente dove vivere, se e come spostarsi, ascoltando i propri desideri senza che altri decidano per te. Libertà a cui noi chiese protestanti, minoranza in Italia, siamo intrinsecamente legate.

 

Per raccontare e ripercorre questi dieci anni abbiamo pensato ad alcuni eventi locali, come quelli a Roma e Scicli per la Giornata Mondiale del Rifugiato del 20 giugno, e un incontro nazionale in occasione dell’apertura dell’Assise della Fcei che si svolgerà il 24 ottobre presso la chiesa valdese di piazza Cavour a Roma.

 

Questo sarà un momento per sentire le tante voci che hanno contribuito e contribuiscono al programma MH, utilizzando linguaggi come musica, espressioni artistiche e digitali, testimonianze dirette e più lontane. Un decennale che non vuole essere solo una celebrazione, ma anche l’occasione per ricordare che il nostro impegno esiste per praticare la giustizia, facendo la nostra parte come chiese nel contribuire a una cultura di pace, diritti e lotte che sono necessariamente inclusive e trasversali, intersezionali. Oltre a iniziative ed eventi, è stata pensata una campagna di comunicazione che abbiamo immaginato come un “alfabeto di Mediterranean Hope”: per ogni lettera, delle parole che raccontino un pezzettino del progetto della Fcei, con l’intento di trasformare anche il linguaggio che solitamente viene usato, e imposto, per parlare di migrazioni. Le parole sono potenti e, pur consapevoli di avere uno sguardo parziale, volevamo creare uno spazio di riflessione asciutto, non retorico e visivo.

 

Ne scelgo due da condividere qui. M di Mediterraneo: è un cimitero. La rotta più letale al mondo, non è il mare che uccide ma le politiche e le leggi ingiuste. Nel nome del nostro progetto però “Mediterranean” sta insieme a “Hope”, speranza. H DI HOPE: non a caso una delle due parole che compongono il nome del nostro progetto. Speranza è aprire il futuro a chi pensa di non averne uno, essere già oggi cittadini e cittadine di un mondo nuovo e più giusto che ancora deve affermarsi. Che questo anniversario possa quindi essere anche uno sguardo verso il futuro, di cui avere cura e che siamo chiamate e chiamati a costruire insieme.

 

Marta Bernardini è coordinatrice nazionale di Mediterranean Hope; qui di seguito l’intervista che Radio Beckwith ha realizzato con la stessa Bernardini.

 

 

 

Disegno di copertina di Francesco Piobbichi