Sulle tracce della Lione di Valdo

Il viaggio organizzato dal Centro culturale valdese e dalla Società di studi valdesi

 

In viaggio accade a volte di fare scoperte inaspettate e trovare cose diverse da quelle immaginate. È un po’ quello che è successo a noi: un gruppo di una cinquantina di persone da varie zone d’Italia che ha partecipato al viaggio Alla scoperta della Lione di Valdo organizzato dalla Fondazione Centro culturale valdese con la Società di studi valdesi, nell’ambito degli “850 anni valdesi in movimento”.

 

In soli tre giorni (31 maggio – 2 giugno, viaggio Torre Pellice – Lione e ritorno) abbiamo ammirato la bellissima città attuale, perlustrato la vecchia Lione, ascoltato interessanti e dense conferenze (instancabilmente tradotte da Micaela Fenoglio), visitato luoghi e chiese, incontrato personalità, gruppi e autorità municipali, sempre guidati con attenzione e competenza da Bruna Peyrot e Davide Rosso, presidente e direttore della Fondazione-Centro Culturale e dal pastore Giuseppe Platone per la Società di studi valdesi.

 

Quanto a Valdo, abbiamo percorso l’antico quartiere dove esercitò le sue attività di ricco possidente – la strada che a causa sua prese il nome di rue Maudite (Strada Maledetta) – la grande chiesa parrocchiale di St.-Nizier da lui frequentata; infine la statua che, secondo la vulgata popolare, venne aggiunta per sfregio ai pinnacoli della Cattedrale di Saint-Jean che lo ritrae con la testa vuota. La professoressa Claudine Frechet con acribia nella sua dotta conferenza ci ha offerto un esempio di come, in mancanza di fonti storiche dirette, sia stato possibile formulare ipotesi plausibili sulla lingua parlata da Valdo, presumibilmente il francoprovenzale e su quella utilizzata dai suoi discepoli nei testi scritti: l’occitano.

 

Di Valdo, insomma, poche e rare tracce, segno del successo della feroce repressione esercitata dal potere ecclesiastico e politico del suo tempo. Come infatti ha ripetuto con nettezza il prof. Yves Krumenacker nella sua ampia ed esauriente conferenza su Valdo e sui protestanti lionesi: di Valdo a Lione dopo la sua cacciata non è rimasta traccia alcuna. In compenso e a più riprese, parallelamente alle fasi più o meno acute delle guerre di religione, i protestanti francesi hanno dimostrato una vitalità non comune, ogni volta rimettendosi in cammino e ripartendo da zero. Oggi contano all’incirca 8000 membri di chiesa e sei diversi templi (luterani e riformati insieme).

 

Ne abbiamo visitato alcuni tra i più antichi: il Temple du Change del XVII secolo, che, come suggerisce il nome, in precedenza era la sede del Cambio e che nel 1803 con Napoleone venne dato ai protestanti come luogo di culto. Divenuto presto troppo piccolo (600 posti), nel 1873 il Concistoro decise per la costruzione del Grand Temple (10.000 posti tra platea e le tre gallerie) inaugurato nel 1884: a croce greca e sormontato da un grande organo è insieme imponente e arioso, illuminato com’è dalla grande cupola vetrata.

 

Ad arricchire il quadro, è stato aperto un piccolo squarcio sui movimenti migratori nell’una e nell’altra direzione che hanno portato alcuni dalle valli valdesi a Lione – come nel caso di Samuel Biolley e di sua moglie, raccontatoci da Gabriella Ballesio, e in quello di Willy Cordin – e al contrario, di alcune famiglie come quella dei Girardet spostatisi da Lione a Londra e poi a Roma.

 

Infine, l’incontro ufficiale con il Vicesindaco di Vaulx-en-Velin (Città metropolitana di Lione) e con il Centro protestante di quella località: l’Espace protestant, che sotto un impressionante soffitto a doghe di legno a imitazione della chiglia di un’arca rovesciata, riunisce una sala grande, uffici, spazi comunitari, servizi al quartiere: una chiesa nata per iniziativa di tre comunità che hanno deciso di liberarsi dei vecchi locali di culto in centro città per acquistare un terreno e dare una testimonianza in un quartiere a forte immigrazione.

 

Dopo un culto comune, ci è stato offerto in una calorosa agape, un pasto “degno di Babette”, che sciogliendo timidezze e ritrosie reciproche, ha creato un clima di calorosa fraternità e amicizia. Chissà che da questa esperienza non nasca il desiderio anche a Lione di recuperare la figura del loro dimenticato concittadino che tanto ha rappresentato per il movimento valdese alle Valli e non solo.