Un passo avanti verso la piena comunione

La recente decisione della Chiesa metodista unita di aprirsi alle persone lgbtqi+ segna un avanzamento nel processo di reciproco riconoscimento con la Chiesa episcopale

 

A poche settimane dalla Conferenza generale della Chiesa metodista unita (Umc), i Comitati per le relazioni ecumeniche e interreligiose della Convenzione generale (Cg) della Chiesa episcopale (il ramo statunitense dell’anglicanesimo) hanno espresso il loro favore per la decisione metodista di aprire le porte a ministri Lgbtqi, rimuovendo dal Libro delle Discipline e dei principi sociali le restrizioni all’«ordinazione e [al] matrimonio di persone omosessuali».

 

Il 24 maggio, con un’apposita risoluzione, i membri dei comitati (vescovi e deputati della Cg episcopale) hanno celebrato questi «cambiamenti storici e radicali», che ritengono un avanzamento sulla strada della “piena comunione” tra le due denominazioni e, scrivono, «verso il nostro comune obiettivo di una chiesa aperta e inclusiva per tutto il popolo di Dio». Ricordiamo che, oltre a questo, la Conferenza generale Umc ha approvato una modifica nella struttura internazionale, definita regionalizzazione, che permetterà alle chiese nazionali di differire in parte da questo orientamento, limitando al tempo stesso la disaffiliazione, che negli ultimi anni ha portato a una perdita di chiese notevole (25-30%).

 

Un passo avanti, dal punto di vista degli episcopali, nell’ottica del riconoscimento della “piena comunione” tra le due chiese, che sarebbe più corretto definire federazioni di chiese, entrambe basate negli Usa ma presenti in vari paesi del mondo; percorso che si sta compiendo da diversi anni (il documento A Theological Foundation for Full Communion between The Episcopal Church and The United Methodist Church è del 2010), rallentato dal rinvio della Conferenza generale metodista a causa della pandemia nel 2020, fino alla fine di aprile di quest’anno.

 

In realtà (ricorda la risoluzione) il dialogo tra le due denominazioni è cominciato 70 anni fa, «gli ultimi 20 dei quali passati a preparare la piena comunione [… con] la creazione nel 2006 di una condivisione eucaristica provvisoria», che ha portato nel 2020 al documento che ne stabilisce i fondamenti teologici. Non si nascondono però i rallentamenti di questo percorso, in cui si è raggiunto il “consenso differenziato” sui credi storici, il battesimo e l’eucaristia, i ministeri laici e ordinati, il ruolo dei vescovi, «a causa delle difficili divisioni interne a entrambe le comunità».

 

La prossima tappa dovrebbe essere la possibilità di condividere i ministri, come già avviene per esempio con altre chiese (luterana, morava), sia per l’Umc sia per l’Episcopal Church.

 

Ma per fare questo sono necessari ancora dei passaggi: ecco perché la Chiesa episcopale (che dagli anni Novanta ha modificato i propri canoni vietando qualsiasi discriminazione su base sessuale e aprendo all’ordinazione di ministri di qualunque orientamento, poi avvenuta nove anni dopo) lodando l’apertura della Umc, chiede di proseguire il dialogo in vista della votazione sulla piena comunione, durante la prossima General Convention (Louisville, 23-28 giugno 2024). In particolare, occorre definire le azioni necessarie per «uno scambio ordinato di ministri» tra le due denominazioni e una procedura di riconoscimento reciproco dei ministeri e delle liturgie.

 

 

Foto: Chiesa di san Bartolomeo, New York, via Istockpho