Chiesa Metodista Unita, sì a pastorato e unione Lgbtqi+

Un commento del pastore Luca Anziani, presente alla convention negli Stati Uniti

 

Una delegazione dell’Opera per le chiese metodiste in Italia (Opcemi) ha partecipato a parte dei lavori della Conferenza generale della Umc a Charlotte in North Carolina, la Chiesa metodista unita, che federa un elevato numero di chiese metodiste negli Stati Uniti e nel mondo intero. L’Opcemi non ne fa parte ma ha radicate relazioni, consolidate dalla comune presenza nel World Methodist Council e nel Meor, l’Ufficio metodista ecumenico di Roma.

 

Il tema principale di discussioni per i partecipanti ancora una volta è legato a questioni di sessualità.

 

«Questa chiesa metodista già dagli anni ‘70 ha posto al suo interno il dibattito relativo alla sessualità umana senza mai prendere posizioni ufficiali, nel senso che c’erano già pastori omosessuali, ma tendenzialmente senza partner, e non potevano vivere in maniera pubblica la propria sessualità, con tutte le sofferenze del caso» ci racconta il pastore Luca Anziani, presidente Opcemi e presente all’assise negli Stati Uniti.

 

Le altre chiese protestanti americane come la presbiteriana o la Ucc avevano già preso posizioni “liberal” nel corso degli anni. La Umc non è una chiesa però, è una confederazione: dentro ci sono e c’erano chiese di tutto il mondo; quindi la questione era molto delicata anche perché in alcuni Paesi se i rappresentanti della chiesa avessero preso posizioni pubbliche di accoglienza di pastori omosessuali sarebbero finiti in carcere perché in alcune nazioni ciò era ed è un reato.  Avevano quindi rimandato per molto tempo queste decisioni. Prima del Covid erano state prese posizioni pubbliche e si è così giunti alla Conferenza generale in cui è stato modificato proprio il Libro delle discipline nella direzione di un’accoglienza sia di pastori Lgbtqi+, che di riconoscimento del matrimonio fra coppie dello stesso sesso, un po’ come accaduto con il nostro atto del sinodo 2010».

 

Questa scelta ha già comportato la fuoriuscita dall’unione di una percentuale fra il 25 e il 35% delle chiese, soprattutto statunitensi, ed euroasiatiche. Altre sono rimaste nella Confederazione, non tutte per convinzione, ma per una forte dipendenza economica dai finanziamenti provenienti dagli Stati Uniti.

 

«La novità, prosegue Anziani, riguarda una soluzione che se pensata prima avrebbe probabilmente fermato in parte questa emorragia: la regionalizzazione, cioè le decisioni generali possono anche non essere accettate dalle singole chiese, senza per questo l’obbligo di staccarsi. Poi si deve capire quale è il criterio e quale il confine ma in fondo è la stessa cosa che noi abbiamo fatto con il famoso atto del nostro sinodo che dice che la benedizione delle coppie dello stesso sesso si può fare, non si deve fare, e lo possono fare quelle chiese che hanno già maturato una consapevolezza o uno studio riguardo al tema. Si lascia cioè aperta la porta a quelle chiese in cui la questione specifica appare ancora un nervo scoperto».

 

Dalle chiese scissioniste è stata formata la Global Methodist Church, molto conservatrice su questi temi. «Ma non sono operazioni che si fanno a cuor leggero: c’è chi apparteneva a una chiesa da generazioni, e ora staccarsene rappresenta un dolore. Ma un dolore forte al contempo lo provano tutte quelle persone non accolte per temi che dovrebbero rimanere fuori dai discrimini di una chiesa» commenta Anziani. Che conclude: «Per noi è veramente difficile comprendere perché questo tema sia diventato il tema di principale discussione delle chiese, di fronte a le tante urgenze di un mondo che soffre».