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Ciò che conta è non voltarsi dall’altra parte

Una rete di associazioni porta aiuto ai migranti in transito a Ventimiglia: anche la chiesa valdese è in prima linea con le cene solidali della “Brigata Cucina”

 

«Menù di sabato: pasta al ragù, uova sode, pane, dolci e tè alla menta… poi vedremo le verdure che ci donerà Mauro». Laura farà la spesa,  Enzo si metterà a cucinare – quanti saranno? Un centinaio? Di più, di meno? «Per questo turno riceveremo donazioni di una conoscente di Enzo, la carne (rigorosamente halal), ci sarà donata dal commerciante egiziano». «Non servono altre donazioni, grazie – continua Laura – e la menta e i bicchieri da Aurora e Rosalba». Piatti e posate in gran quantità, come anche il couscous, erano stati regalati da Carmen e Ruth. 

 

Ogni mese la chiesa valdese di Sanremo mette a disposizione la cucina e il pentolame, e offre una somma dal fondo diaconia, ma può succedere che arrivino anche da altre parti donazioni di cibi e aiuti e che il fondo allocato possa essere usato per altre necessità al confine. 

 

Da più di un anno la “Brigata cucina”, che prima si incontrava altrove, utilizza la cucina della “Casa Valdese” di via Roma, a fianco del tempio: al piano terra, oltre al salone per piccoli concerti, agapi, ecc, c’è la cucina dove si preparano le “cene solidali” e una saletta dove si fermano a mangiare i volontari, dove facciamo gli studi biblici e altri corsi. Al primo piano c’è la Scuola Omnilingua, mentre all’ultimo piano c’è l’alloggio pastorale. Una volta nel palazzo sorgeva la scuola primaria valdese, quella che frequentò Italo Calvino.

 

I volontari della “Brigata cucina” sono valdesi, cattolici o agnostici, quasi tutti soci dell’Associazione «Mappamondo», da molti anni attiva sul territorio con i suoi corsi d’italiano e l’organizzazione dei pasti. Da qualche mese, per motivi logistici ed economici, l’Associazione «Sanremo Rete Solidale» di cui alcuni valdesi facevano parte si è fusa con l’Associazione «Mappamondo».

 

Ho pensato di sollecitare alcune riflessioni da parte dei volontari. Sembra che preferiscano lavorare in silenzio, tranquilli e gioiosi. Laura riscontra la «frustrazione di preparare un pasto caldo senza riuscire a muovere qualcosa socialmente per dar fine a questo giro dell’oca a cui sottoponiamo questi giovani esseri umani che hanno la sola colpa di essere nati nella parte di mondo sbagliata».

 

Daniela, scrittrice, che ora abita a Vercelli, aggiunge «la frustrazione di non avere il tempo di instaurare rapporti umani con le singole persone, dato il loro alto numero, nella consapevolezza dei loro bisogni al di là del solo cibo». Dice poi che a Vercelli le cose sono completamente diverse, perché i ragazzi sono molti di meno e si conoscono meglio, ci si affeziona, però ci sono altri problemi, in genere vogliono andar via, ma sono costretti, almeno la maggior parte, a restare.

 

«La nostra Brigata va “in distribuzione” – dice Maria Giulia di Amnesty, – porgiamo un piatto, un bicchiere di tè, un sorriso… Non sempre ci rispondono. Indoviniamo le sofferenze subite, il pensiero dei loro cari lontani, le angosce per ciò che sarà il futuro… La nostra è una goccia in un mare di dolore, ma ciò che conta è non voltarsi dall’altra parte».