Maggio 1974: l’Italia dice no all’abrogazione del divorzio

50 anni fa il referendum che chiedeva di abrogare il divorzio

 

Il 12-13 maggio 1974 l’Italia andò per la prima volta a votare per un referendum abrogativo. Lo strumento istituzionale, previsto dall’art. 75 della Costituzione, venne convocato con lo scopo di abrogare la legge “Fortuna-Baslini”, che nel 1970 aveva sancito la possibilità di divorziare.

 

Ne erano stati promotori il giurista Gabrio Lombardi, con l’Azione Cattolica e un appoggio da parte della Conferenza episcopale, della Democrazia cristiana, maggior partito del V Governo Rumor, oltre che dal Movimento sociale italiano. Del Governo facevano parte anche il Partito socialdemocratico e il Partito socialista, i quali avevano sostenuto la legge del 1970, di cui erano stati autori il socialista Loris Fortuna e il liberale Antonio Baslini.

 

Quello che successe il 12 maggio di cinquant’anni fa fu importante per molte ragioni: da un punto di vista generale, si trattò di un passo deciso in avanti, nel mettere in minoranza le forze che avrebbero voluto tornare a una legislazione antiquata e oppressiva in particolare delle donne. Non è per caso che un anno dopo sarà approvata la legge istitutiva del nuovo Diritto di famiglia.

 

Ma soprattutto si registrò un diverso comportamento da parte dei cristiani e cristiane di diverse confessioni. A fronte della posizione netta della Cei, la Chiesa valdese rischiava una spaccatura fra l’ala più conservatrice e le correnti maggiormente “battagliere” in politica.

Non vi fu una “parola d’ordine” (e questa è un’indicazione giusta, valida ancora oggi in molti casi). Ricorda il pastore Giorgio Bouchard (I valdesi e l’Italia, Claudiana 1988, pp. 132-133) che il teologo Sergio Rostagno indicò «amichevolmente» alla Tavola valdese la necessità di «non esorbitare dalle sue competenze».

 

Ma non vi era bisogno di indicazioni, perché il popolo credente cominciò – ricorda Bouchard – «a discutere il problema a livello capillare: gruppi, riunioni di quartiere, studi biblici», come si conviene a una Chiesa strutturata in modo assembleare. Il “no” all’abrogazione della legge sul divorzio toccò così nelle valli valdesi la cifra del 94,8% a Bobbio Pellice, l’85% a Prali, l’86,9& a Torre Pellice e comunque a Pinerolo, dove la presenza valdese è più limitata, arrivò al 73,4%.

 

Come scriveva l’editoriale dell’Eco delle valli valdesi – La luce, fratello maggiore del nostro giornale, i 2/5 di italiani che hanno visto un risultato negativo per loro «… non sono stati privati di alcun diritto, di alcuna libertà; è stato soltanto impedito loro di privare altri di un diritto, di una libertà». L’articolo, siglato G.C. (era allora direttore il pastore Gino Conte) proseguiva rilevando che era dal tempo della Resistenza che non si univano tante persone di cultura, provenienza ed esperienza politica tanto variegata. inoltre, quel voto ricollocava l’Italia in Europa.

 

Ma quel referendum portò alla luce un fenomeno destinato poi a ripetersi molte volte: uno scollamento, una percezione distorta del mondo della politica rispetto all’elettorato e alla cultura del Paese. Evidentemente mancò al Governo la sensibilità per capire che le questioni di coscienza interpellano le persone direttamente, o negli ambiti dove le persone stesse si rendono consapevoli delle proprie responsabilità.

 

Un principio caro al protestantesimo, da tenersi ben stretto in ogni risvolto della vita politica e sociale, anche se ultimamente l’istituto del referendum abrogativo è stato un po’ “svilito”: più volte infatti le consultazioni, anziché questioni di coscienza come divorzio, aborto, etc… hanno riguardato singoli articoli o, peggio, alcuni commi di un articolo di legge, rendendo tecnico e astruso il quesito e dando l’impressione che i Governi e le opposizioni lascino ai cittadini di dire una parola che dovrebbero dire loro, eletti proprio per questo.