Regno Unito, chiese e associazioni contro le espulsioni in Ruanda
Una lettera aperta al Primo Ministro e un comunicato di solidarietà con quanti sono a fianco delle persone migranti e spesso sono attaccati per questo
Nella notte del 22 aprile, dopo un lungo iter tra la Camera dei Lord e quella dei Comuni, è diventato legge il trasferimento in Ruanda delle persone migranti giunte irregolarmente in Gran Bretagna. Un accordo con il paese africano che costerà milioni di sterline, e peggiorerà una già grave situazione di clandestinità.
Diverse chiese e numerose organizzazioni per i diritti umani si sono pronunciate immediatamente, già la mattina dopo, contro questo provvedimento, per il quale si prevedono infiniti ricorsi. In 251 hanno scritto una lettera aperta al Primo Ministro Rishi Sunak, tra i principali sostenitori del provvedimento, lanciato due anni fa dal suo predecessore (senza contare la breve parentesi di Liz Truss) Boris Johnson. Tra questi, la Chiesa metodista, la Chiesa di Scozia, la Chiesa riformata unita, i quaccheri, alcune chiese battiste e cattoliche.
Nel documento esprimono la loro indignazione per una legge dal nome ingannevole, “Legge per la sicurezza del Ruanda” (Safety of Rwanda Bill), invece «vergognosa e dagli effetti crudeli, che metterà a rischio le vite delle persone e tradisce chi siamo come società». Ricordano al contrario la responsabilità come paese di soccorrere i rifugiati e bisognosi, una responsabilità di cui andare orgogliosi.
Ritengono che l’opinione pubblica non sostenga questo decreto, che viola i diritti umani perché consentirebbe al governo di espellere «persone in cerca d’asilo, compresi bambini e sopravvissuti alla tratta e alla schiavitù moderna».
Accanto alla denuncia delle condizioni in cui queste persone verrebbero a trovarsi, nei centri di espulsione, ricordano l’insensatezza di un trasferimento «in un paese con il quale non hanno alcun legame, nonostante la Corte Suprema abbia stabilito che questo è pericoloso per loro» perché potrebbero essere rimpatriati proprio nei paesi da cui hanno cercato di fuggire.
Ricordano infine la responsabilità del governo e che «sebbene questo sia un attacco mirato su rifugiati e migranti, un attacco ai diritti di un gruppo è un attacco a tutti noi».
Esortano quindi il Governo a lasciare questa «strada pericolosa» per garantire invece il diritto d’asilo, per esempio aprendo rotte sicure.
Lo stesso giorno, poche ore dopo che altre vite si erano perse nel Canale della Manica nel tentativo di raggiungere il Regno Unito, i leader delle chiese anglicana (Chiesa d’Inghilterra), cattolico-romana, metodista, battista e riformata unita hanno voluto esprimere con un comunicato la loro gratitudine a coloro che «vivono la chiamata di Gesù a nutrire e a vestire i poveri e ad accogliere lo straniero» occupandosi di accoglienza, lavorando a fianco dei rifugiati e dei richiedenti asilo, e la loro vicinanza per la «crescente ostilità e ingiusto disprezzo» di cui sono stati oggetto «da parte di alcuni ambienti nelle ultime settimane».
Esprimendo la loro perplessità sulla legge, hanno messo in guardia dal pericoloso «precedente che (essa) costituisce in patria e per altri paesi». Deplorano anche il modo in cui il trattamento di rifugiati e richiedenti asilo è stato utilizzato strumentalmente, come un «calcio politico», e il fatto che alcuni politici e commentatori hanno accusato le chiese di facilitare deliberatamente false richieste di asilo. Per questo, ricorda il comunicato, su richiesta dei leader anglicani, i rappresentanti delle chiese hanno incontrato a febbraio il ministro degli Interni, e né lui né altri funzionari hanno potuto mostrare le basi ditali accuse. È stato quindi richiesto un intervento in Parlamento per ritirarle formalmente, e si è avviata una serie di incontri per promuovere la collaborazione tra le chiese e il Ministero. Possono esserci delle differenze, concludono i leader, sugli strumenti e le politiche, ma tutti concordano nel rispetto della dignità umana, «sul fatto che i confini devono essere gestiti e che le persone vulnerabili hanno bisogno di protezione dai trafficanti di esseri umani».