Lavoro ed etica del lavoro nel tempo della decrescita: storia, cambiamenti, diritti
La cronaca del primo giorno del convegno promosso dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia a Salerno
Si sono aperti lunedì 8 aprile con la visita a Castel Volturno i lavori del convegno “Lavoro ed etica del lavoro nel tempo della decrescita: storia, cambiamenti, diritti”. Il convegno nasce nel quadro della riflessione avviata durante la Settimana della libertà dedicata ai temi della laicità, dei diritti e della presenza evangelica nella società italiana. Esso è organizzato dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) in collaborazione con l’Università degli Studi di Salerno e l’Istituto di Studi sul Mediterraneo (ISMed-CNR).
Qui il programma dell’iniziativa.
I lavori sono stati aperti da Gianfranco Macrì, che ha portato i saluti del direttore del Dipartimento di Scienze politiche e Comunicazione dell’Università di Salerno, Virgilio D’Antonio. Sono seguiti i saluti del Presidente FCEI, pastore Daniele Garrone, che ha spiegato il motivo per il quale le chiese protestanti si occupano di questo tema, collocando questo interesse a partire dal XVI secolo, nell’intendere culturalmente il lavoro come “postura umana responsabile nel mondo”. Garrone ha parlato inoltre della convergenza di iniziative in ambito FCEI, con convegni e approfondimenti, da quelli della Commissione FCEI su globalizzazione e ambiente (GLAM) sul “Buon lavoro” a quelli dei Centri culturali protestanti come ad esempio quello di Torino. Ricordando la concessione dei diritti civili a valdesi ed ebrei nel 1848, ricorrenza che viene celebrata ogni anno appunto nella Settimana della libertà, Garrone ha sottolineato che proprio dopo aver ottenuto diritti prima negati “è vocazione delle nostre chiese occuparsi di chi non ha libertà. Pensiamo alle persone migranti, o alle nuove generazioni che vanno all’estero, ma anche al lavoro precario”. Il tempo libero, secondo Garrone, “è gemello di una occupazione non sfruttata, non precaria, non pericolosa. Il lavoro è cambiato, ci sono molti dati da analizzare, ed è nostra consuetudine intrecciare questi temi che interessano sia la società in generale, sia le nostre comunità, sia l’Università. Ci vuole il pensiero storico-critico, ci vogliono le idee, perché senza ragionamenti, senza propositi e progetti non si va da nessuna parte”.
La mattinata ha visto due momenti distinti. Una prima parte con l’intervento di Alberto De Bernardi introdotto da Luca Castagna, a cui è seguito un dibattito. Quindi, la presentazione del volume di Stefano Gallo e Fabrizio Loreto “Storia del lavoro nell’Italia contemporanea” (Il Mulino 2023), con gli interventi di Antonio Bonatesta, Università di Bari-Aldo Moro, di Valeria Piro, Università di Padova e dello stesso Stefano Gallo, CNR ISMed Napoli.
De Bernardi: lavoro, Costituzione, diritti e la “moltiplicazione dei Sapiens”
A partire dall’Articolo 1 della Costituzione, De Bernardi ha tracciato alcune linee di ragionamento sul tema del lavoro. “Giuristi e studiosi della Costituzione ci dicono che senza lavoro al popolo non è garantita la sovranità del popolo. Un popolo di poveri, disoccupati e bisognosi non può esercitare quella sovranità democratica, perché sarebbe alla mercè di altri poteri, privato della sua autonomia” ha detto. Illustrando il lavoro come elemento di trasformazione della natura affinché essa possa soddisfare le esigenze umane, De Bernardi ha parlato di capacità produttiva e di come la riduzione del tempo necessario per produrre abbia consentito la massimizzazione della produzione. Questo, fra l’altro, ha portato all’aumento demografico, all’aumento della speranza di vita e alla riduzione della fatica in molti settori.
Il “lavoro” è un concetto relativamente recente, nasce con la rivoluzione industriale. Se è fondamento della società e la rende possibile, sin dalle origini della civiltà (come lavoro collettivo, sociale, con persone che lavorano insieme per obiettivi tecnici, sociali, in certi casi anche religiosi o mistici), è anche vero, ha affermato De Bernardi, che “la moltiplicazione dei sapiens è legata all’espansione di questa attività di trasformazione della natura attraverso il lavoro associato e le tecnologie. Se non avessimo distinto fra una montagna di erbacce il seme che produce il grano, distinguendolo e riproducendolo con potenza moltiplicativa, non saremmo passati a una produttività che, in 2000 anni, è passata da produrre da un seme 100 altri semi anziché 6”. De Bernardi ha quindi indicato due elementi fondamentali. Il primo, riguarda il fatto che “Il lavoro in questa nuova società è catalizzatore di diritti, dai più semplici (deve essere pagato, garantito, non vessatorio, e via via porta con sé una lista di diritti sociali, dalla pensione, alle vacanze, alle ferie, all’istruzione, alla salute, diritti intorno ai quali si costruisce una legislazione che definisce e difende il lavoro) ai più complessi. Questi diritti vanno in parallelo con la richiesta di diritti politici, di libertà, partecipazione, protagonismo. In secondo luogo, c’è l’aspetto del welfare, in un sistema dove libertà e conflitto si esprimono entro un confine, “Accettando l’idea del conflitto fra classi, delimitato dentro il patto della democrazia, e rinunciando all’idea di rivoluzione”.
Il dibattito: fra intelligenza artificiale e femminismi
Fra le parole chiave del dibattito della mattina, su cui molte domande restano aperte, ci sono state: decrescita, bisogni, risorse, precariato, produttività, sviluppo, partecipazione, forze produttive, rapporti sociali nelle società algoritmiche, reddito di cittadinanza, sostegno al lavoro e alle persone, lavoro indecente che sconfina con il semi-schiavismo, ruolo delle chiese. Adalgiso Amendola ha parlato di misurabilità: “Siamo in una società in cui ogni cosa finisce per coincidere con una prestazione lavorativa, ma a volte anche l’etica diventa materia di valorizzazione di impresa. Questo pone una serie di problemi anche sull’autonomia della riflessione. C’è bisogno di un nuovo alfabeto in comune”. Cosa potrebbe costituire la società del post-sviluppo? Quali modelli si potrebbero immaginare?
Dalle teorie della decrescita, ai femminismi, alle nuove teorie sul lavoro, emerge l’esigenza di ripensare oggi il lavoro, “non tanto interrompendo lo sviluppo, – secondo Amendola -, ma diversificandolo. Assistiamo a una crisi del modello del lavoro, che andrebbe declinato anche in chiave etica e spirituale”. Amendola ha anche parlato della fine della “favola emancipatrice” del capitalismo cognitivo sullo sfruttamento, il quale è caratterizzato da una “eterogeneità che non riusciamo a leggere. Serve una nuova narrazione, capace di codificare la trasformazione dei modelli di produzione, nella sua oscillazione fra individualismi e cooperazione”.
La nuova “Storia del lavoro nell’Italia contemporanea”
Il volume “Storia del lavoro nell’Italia contemporanea” di Stefano Gallo e Fabrizio Loreto (ed. Il Mulino) rappresenta un contributo significativo al dibattito. Antonio Bonatesta ha spiegato le ragioni e la struttura del volume evidenziando in particolare la cesura degli anni ’70 che, anche nella storiografia, sono considerati un momento di svolta. Dei diversi percorsi di attraversamento e di lettura di questa opera, Bonatesta ha scelto tre punti: il rapporto tra lavoro e meccanismo di sviluppo e accumulazione capitalistica. Il rapporto fra spinte e conflittualità di classe e le tendenze corporativistiche. Il lavoro e la sua rappresentazione sociale e culturale. Fra i temi, anche la questione dei livelli salariali e quella del tempo del lavoro. Valeria Piro, sociologa del lavoro, ha illustrato 7 buoni motivi per leggere questo libro: dall’ampiezza del tema all’analisi del lavoro contemporaneo in tutte le sue nuove forme, dall’analisi della trasformazione della composizione della forza lavoro al lavoro femminile, con l’attenzione al lavoro migrante interno ed esterno. Fino all’analisi delle trasformazioni organizzative e tecnologiche delle imprese pubbliche e private, alla storia delle forme di solidarietà, del conflitto e dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni industriali, agli aspetti del sindacalismo, del ruolo dello Stato, dal welfare state al neoliberismo. Stefano Gallo, primo ricercatore al CNR di Napoli e fra i maggiori esperti di storia delle migrazioni e storia del lavoro, ha sottolineato che il libro nasce con l’intento anche didattico. “Il volume presenta un impianto cronologico tradizionale. Ogni capitolo ha poi 6 paragrafi tematici, quindi si può fare una lettura sia storica sia tematica”. Gallo ha incentrato il suo discorso sul tema del lavoro come condanna e costrizione, parlando anche di lavoro industriale, maschile, a tempo indeterminato, di lavoro rischioso, che può uccidere, ad alta nocività, di globalizzazione e di “stratificazione della disuguaglianza”. Zone d’ombra, per la “dislocazione a livello globale della divisione del lavoro e con il trasferimento del manifatturiero altrove”, ci sono ancora: “Dobbiamo riflettere sulla dimensione globale, c’è ancora moltissimo da fare”.
I lavori sono proseguiti nel pomeriggio con il panel “Lavoro ed etica religiosa”, introdotto da Carmine Napolitano (Facoltà Pentecostale di Scienze Religiose), con gli interventi di Debora Spini (Syracuse University in Florence, New York – University in Florence), su “Il lavoro nella tradizione protestante”. E di Tiziana Faitini (Università di Trento), su “Il lavoro nella tradizione cattolica”.
A fine giornata, il panel “Lavoro, immigrazione, religioni”, introdotto da Giovanni Ferrarese (CNR ISMed Napoli, Università di Salerno), con Mariangela Lauria, Francesca Citro e Milena Durante, che hanno presentato il volume “Chiese nere, lavoro nero” a cura di Paolo Naso (Le Penseur, 2023). Sono intervenuti anche Donato Di Sanzo (CNR-ISMed Napoli, Università di Palermo) e lo stesso Paolo Naso (Sapienza Università di Roma, Comm. Studi FCEI).